Quando a ottobre ho visitato la sede di Rappler a Manila era di una tranquillità spettrale, con un freddo da condizionatore. La redazione lavorava a distanza da più di un anno: le scrivanie erano vuote e le sale riunioni con le pareti di vetro erano deserte. L’elemento più chiassoso era il suo caratteristico logo arancione. L’ultima volta che ero stato lì, nel 2019, non c’era un centimetro di spazio tranquillo. I redattori si scambiavano battute seduti al tavolo centrale e in mezzo alla sala c’era una rumorosa diretta su un social network. Nel suo ufficio nascosto in un angolo, una delle fondatrici del sito, Maria Ressa, insignita del premio Nobel per la pace 2021 insieme al giornalista russo Dmitrij Muratov, era nel bel mezzo di un’intervista per un documentario dell’emittente statunitense Pbs. In quei giorni il nome di Ressa era stato associato a un fantomatico piano per destabilizzare il governo di Rodrigo Duterte, e i mezzi d’informazione locali avevano pubblicato un grafico elaborato che dimostrava il suo coinvolgimento. “Cosa posso dire? Ho finito le parole. Ridicolo, assurdo. Lo ripeterò finché sarà chiaro che si tratta di una farsa”, aveva detto.
Ressa è il volto pubblico del sito di giornalismo investigativo, e l’attenzione che si è concentrata su di lei non è stata esattamente lusinghiera. La sua redazione è stata attaccata pubblicamente e ripetutamente dal presidente Duterte e quegli attacchi sono stati poi amplificati sui social network da legioni di troll. I sostenitori del governo hanno accolto la notizia del Nobel come un’altra opportunità per screditare Ressa. “Ha mentito al mondo! A queste persone va bene che dipinga le Filippine come un caso disperato?”, commentava online uno di loro.
“È semplicemente la dimostrazione che non abbiamo ancora vinto”, dice Rambo Talabong, giovane giornalista di Rappler che si è fatto conoscere raccontando la brutale guerra alla droga di Duterte. “La battaglia è ancora in corso”.
Ma Ressa è anche una dei critici più feroci di Facebook, e l’annuncio del suo premio Nobel ha un tempismo inquietante, perché è arrivato poco prima che fossero resi pubblici i cosiddetti Facebook papers. Le rivelazioni sulla lentezza dell’azienda di Mark Zukerberg nel contrastare la disinformazione e i messaggi d’odio hanno occupato molto spazio nei mezzi d’informazione occidentali: a Rappler non hanno destato grande stupore. Nelle Filippine, infatti, il sito d’informazione e le organizzazioni per i diritti umani denunciano il problema da anni.
Oltre al riconoscimento generale conferito dal Nobel, c’è la sensazione che siano state soprattutto realtà come Rappler (che ha capito ed evidenziato i limiti dei social network molto prima dei mezzi d’informazione occidentali) a inchiodare le aziende tecnologiche alle loro responsabilità.
Ma gli ostacoli con cui deve fare i conti il sito di Ressa continuano ad aumentare. Le Filippine si stanno preparando alle elezioni presidenziali, mentre nuove piattaforme come TikTok minacciano di alimentare ulteriormente la disinformazione. E i giornalisti si scontrano con i limiti posti dalla pandemia. Ora, però, tutto questo è sotto i riflettori internazionali. La pressione, insieme ai rischi che comporta lavorare per una testata importante, non sono una novità, spiega la giornalista di Rappler Lian Buan.
Quando è stato annunciato il premio Nobel per la pace, i redattori del sito avevano ben altro per la testa. Era l’ultimo giorno utile per registrare le candidature alle elezioni presidenziali, e il loro canale Slack brulicava di aggiornamenti in diretta. Avevano sopportato mesi di attacchi online violenti e indiscriminati mentre si occupavano dei possibili successori alla presidenza: dalla figlia di Duterte, Sara Duterte-Carpio, alla vicepresidente dell’opposizione Leni Robredo. Erano esausti, ma andavano avanti.
Alle 16.43 è arrivato un messaggio di Lilibeth Frondoso, responsabile dello sviluppo e della strategia multimediale di Rappler. Diceva semplicemente: “MARIA HA VINTO IL NOBEL”. Per un attimo c’è stato silenzio. Distratti dall’avvicendarsi delle notizie, i redattori non si aspettavano quel risultato così presto. Poi il mondo ha ripreso a muoversi e sono cominciati ad arrivare messaggi di gioia.
Ventuno omicidi
È difficile descrivere lo stress continuo che comporta la gestione di una redazione che vive sotto un governo apertamente ostile. Di giornalismo nelle Filippine si muore: il conduttore di un notiziario ucciso a colpi di arma da fuoco a fine ottobre è stato il ventunesimo reporter assassinato da quando Duterte è arrivato al governo, nel 2016.
Rappler sta combattendo in tribunale contro un ordine di chiusura, e il prossimo cambio di governo aggiunge ulteriore agitazione
Il giorno in cui visito la sede di Rappler, alcuni redattori stanno partecipando a una riunione per un articolo sulle prossime elezioni. Tra loro c’è Buan, che si occupa di corruzione e giustizia. È stata incaricata di scrivere di Ferdinand Bongbong Marcos Jr, figlio e omonimo del defunto dittatore che governò le Filippine per più di vent’anni accumulando illecitamente una fortuna per sé e la famiglia. Oggi Marcos Jr. è considerato il favorito alle prossime elezioni. Buan prevede una sfida serrata. “Dovrò occuparmi di un candidato molto discusso”, dice. “Quindi mi sto preparando, prevedo un bel po’ di attacchi online”.
La guerra contro i fatti
Brillante e loquace, Rambo Talabong, 24 anni, è arrivato a Rappler come stagista e ricercatore per seguire la campagna di Duterte contro il traffico di droga, che ha preso di mira i tossicodipendenti e provocato migliaia di morti. Talabong, che oggi segue la cronaca, dice che la rete sta cambiando. Oltre a Facebook, TikTok sta rapidamente diventando un nuovo epicentro della disinformazione e della “guerra contro i fatti”, come lui la definisce, usando parole che fanno eco a quelle di Ressa. Gli influencer diffondono notizie false sulla politica; Talabong ha cercato di contrastarli con video su TikTok per spiegare la politica filippina ai giovani. “Penso che la questione centrale sia il futuro del giornalismo”, dice. “Dobbiamo andare a cercare i lettori dove sono, dove leggono le notizie. Perché a farci concorrenza non sono testate come la nostra, ma tutti i creatori di contenuti, quindi Instagram, Netflix, Facebook”.
Più tardi Talabong comincia a montare un treppiede e una luce ad anello per insegnare ai colleghi come si fa un video su TikTok. “In che modo si può catturare l’attenzione di chi guarda e fornirgli un’informazione corretta?”, si chiede. “Vorrei davvero che informarsi fosse di nuovo una cosa divertente”.
A causa della natura chiusa del potere filippino e della condizione di outsider di Rappler, i suoi giornalisti non hanno accesso (come i colleghi della concorrenza) a fonti interne al governo. Devono trovare modi alternativi per raccontare i fatti. Buan lavora nel suo appartamento di Manila, circondata da una collezione di piante che ha comprato durante la pandemia. Segue da vicino le attività della corte suprema, e ha tenuto il conto degli avvocati uccisi durante l’amministrazione Duterte (63, dice). Racconta che, in un momento in cui l’interazione fisica è impossibile, mantenere i rapporti con le fonti è difficile. Anche senza considerare la pandemia, i giornalisti di Rappler spesso si scontrano con persone che non vogliono parlare con loro dopo aver visto gli attacchi online ricevuti dalla testata. “Appena dici che sei di Rappler molti alzano un muro, ma quando ci si può incontrare di persona spesso la diffidenza si supera”, spiega Buan.
Durante la pandemia è nata anche un’espressione che indica una tattica usata per evitare le richieste di un giornalista: seen-zoned, che indica quando un messaggino è stato evidentemente visualizzato ma rimane senza risposta. Anche ricevere documenti riservati online dalle fonti è diventato impegnativo, racconta Buan, che deve essere certa di evitare azioni di hackeraggio o di sorveglianza. Ha insegnato a diverse fonti come aprire un account di posta elettronica ProtonMail per una maggiore sicurezza, ma non tutte seguono il suo consiglio. Buan insiste, e le contatta attraverso sms o chiamate, spesso senza una risposta. “Penso che la nostra mentalità non sia cambiata, perché la filosofia di Rappler è ancora viva: non si scrive per ottenere clic, ma per fare un buon articolo”, dice Buan.
Talabong ha un profilo pubblico su Facebook e Twitter, e permette alle persone di contattarlo per suggerimenti. Ma deve pagare un prezzo per questo. “Sono dichiaratamente gay, ma i troll lo sottolineano come un insulto. ‘Sei una persona triste e gay; non troverai mai l’amore; un giorno morirai; morirai da solo’. Ormai sono arrivato a un punto in cui tutto questo mi lascia indifferente”, dice. Talabong, che per un articolo è stato accusato insieme a Ressa di diffamazione online, ha dovuto presentarsi alle udienze in tribunale nonostante la pandemia finché il querelante ha lasciato cadere la denuncia lo scorso agosto.
Per celebrare il Nobel a Ressa, la redazione si è riunita online. Alcuni hanno smesso di lavorare, altri hanno continuato a riportare le notizie di quel frenetico venerdì. La notizia è stata un’iniezione di fiducia. “Oh mio dio, oddio!”, ha ripetuto dentro di sé Talabong quando l’ha saputo. “È stato davvero un momento di luce, dopo una settimana così pesante”, confida. Il Nobel per la pace rappresenta varie cose buone per Rappler: è una legittimazione, una conferma degli sforzi di Ressa e del lavoro della redazione. Ma non protegge necessariamente i giornalisti dalle minacce.
Ressa sta affrontando sette processi, con accuse che vanno dalla diffamazione online all’evasione fiscale. Rappler sta combattendo in tribunale contro un ordine di chiusura, e il prossimo cambio di governo aggiunge ulteriore agitazione. I reporter e gli altri dipendenti temono di perdere il lavoro da un giorno all’altro.
Una delle questioni più spinose per Rappler è la sua collaborazione con la Meta, l’azienda proprietaria di Facebook. La Meta finanzia un programma di sostegno al giornalismo e di verifica dei fatti, che nelle Filippine è gestito da Rappler, ma i suoi detrattori dicono che dovrebbe fare di più. “È un impegno fondamentale”, dice Gemma Mendoza, responsabile delle verifiche. “Solo perché facciamo parte di questo progetto, non significa che dobbiamo tacere quando c’è qualcosa che non va, no?”.
Mendoza cita come esempio le loro segnalazioni contro il red-tagging (una tattica per screditare gli avversari del governo etichettandoli come terroristi o membri del Partito comunista fuorilegge), che hanno portato allo smantellamento di una rete collegata all’esercito. “È molto importante promuovere un cambiamento dando raccomandazioni articolate”, dice. “Non si può semplicemente dire ‘Facebook, sei cattiva’”.
Se il passato vale come guida, i social network filippini diventeranno il terreno della disinformazione in vista delle elezioni del maggio 2022. Come si sta preparando Rappler per contrastarla? Ci sono motivi per essere ottimisti? “Mi accorgo che la gente comincia a riconoscere che la disinformazione è un problema”, dice Mendoza. Secondo lei l’enorme interesse per la verifica dei fatti è un buon segno, la prova della crescente consapevolezza che c’è un problema e riguarda tutti. “Almeno questi sforzi formeranno lo spirito critico della nuova generazione”, dice. “È questa la speranza”. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1439 di Internazionale, a pagina 70. Compra questo numero | Abbonati