Uno studio del 21 novembre 2022 pubblicato dall’Institut français d’opinion publique (Ifop) mostra che in Francia il lavoro è percepito come un obbligo, più che come una forma di realizzazione. Un’altra ricerca del Centre de recherches politiques de Sciences Po (Cevipof), pubblicata il 15 marzo 2023, indaga sulla crisi dei francesi nel rapporto con il lavoro. In queste analisi non c’è nulla di sorprendente: la mobilitazione in corso contro l’aumento dell’età per andare in pensione la dice lunga sulla diffidenza francese nei confronti del mondo del lavoro.

Eppure, secondo la Direction de l’animation de la recherche, des études et des statistiques (Dares), i francesi lavorano in media 36,9 ore a settimana, quasi due ore in più rispetto alle 35 ore stabilite per legge. Un orario effettivo che è sicuramente inferiore a quello di altri paesi con un’economia paragonabile a quella francese, come quelle di Germania e Regno Unito, ma che nel complesso dimostra che ai francesi non dispiace lavorare.

Il dato veramente preoccupante è la loro insoddisfazione. I francesi sono in media molto meno soddisfatti dalla loro vita professionale rispetto a quella personale. La maggioranza delle persone intervistate per una ricerca commissionata dalla Fabrique Spinoza, un centro specializzato in studi sulla felicità, considera insoddisfacenti i salari, la gestione del lavoro, i riconoscimenti e i rapporti con i colleghi. Il 49 per cento si lamenta dell’impossibilità di migliorare l’organizzazione del lavoro, mentre il 25 per cento dice di annoiarsi.

Se il mondo del lavoro è effettivamente poco soddisfacente, non si assiste a un rifiuto. Le persone intervistate criticano la difficoltà, se non l’impossibilità, di realizzarsi dal punto di vista lavorativo. Questo paradosso è evidenziato dal fatto che la riduzione dell’orario settimanale non è più una rivendicazione prioritaria: la richiesta non è lavorare meno, ma lavorare meglio.

Oggi il dibattito si è spostato sulle condizioni di lavoro e sul senso della vita professionale, come dimostra uno studio condotto nel gennaio 2023 tra i ragazzi e le ragazze delle scuole di management aziendale. Mentre il lavoro dipendente esigeva in un certo senso il sacrificio di se stessi, oggi tra le generazioni più giovani, soprattutto se con alti livelli d’istruzione, cresce il desiderio che il lavoro diventi una fonte di emancipazione. Il lavoro non è più semplicemente un’attività che prevede di mettere a disposizione il proprio tempo, il proprio corpo e le proprie competenze in cambio di denaro, ma si avvicina a una forma di crescita personale.

Cambio di paradigma

In questo senso, le aspirazioni contemporanee sono più radicali di quelle delle generazioni precedenti, perché esigono un cambio di paradigma che aprirebbe a una forma di riappropriazione del tempo e dell’energia investiti nella vita professionale. Imponendo la riforma delle pensioni, il governo ha dimostrato di non averlo capito.

Forse quello a cui stiamo assistendo è proprio l’emersione del diritto all’affermazione professionale. Quest’idea potrebbe apparire incongrua, tanto più in un’economia in cui le persone sono trattate sostanzialmente come risorse da ottimizzare. Eppure è il senso delle rivendicazioni di oggi, e non si potrà ignorare all’infinito il numero crescente di cittadini che desiderano fare del lavoro un’attività per migliorare se stessi e la società.

Non dimentichiamo che conquiste come l’abolizione del lavoro minorile e il diritto alle ferie pagate erano viste da alcuni come pericolose utopie. Oggi nessuno si sognerebbe di metterle in discussione. Perché non dovrebbe accadere lo stesso con il diritto a realizzarsi nel lavoro? Perché il lavoro non può essere qualcosa che concorre allo sviluppo di un individuo?

Questo diritto sarà difficile da definire, perché rimanda a considerazioni di carattere soggettivo. Avrebbe poi delle importanti implicazioni per la società. A uscirne profondamente modificato non sarebbe solo il rapporto con il lavoro, ma anche la gestione, l’organizzazione e, più in generale, l’economia. In realtà si tratterebbe solo di mettere in pratica un’idea abbastanza antica, dal momento che il lavoro come attività emancipatrice è stata al centro del pensiero di numerosi intellettuali del diciannovesimo e ventesimo secolo. Quest’utopia che riaffiora oggi, domani potrebbe diventare una realtà. ◆ gim

Anthony Hussenot è un docente francese di scienze gestionali.

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Questo articolo è uscito sul numero 1505 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati