L’ombra di una guerra totale tra Israele e il gruppo libanese Hezbollah aleggia dal 7 ottobre. La probabilità che Tel Aviv lanci un’operazione su vasta scala in Libano nelle ultime settimane sembra essere aumentata. Perché? Quali sono gli obiettivi dello stato ebraico? Qual è la posta in gioco? Facciamo il punto.
Il 29 febbraio alcuni funzionari della Casa Bianca e dei servizi segreti statunitensi, citati dalla Cnn, hanno espresso il timore che Israele lanci un’operazione di terra alla fine della primavera o all’inizio dell’estate se i negoziati per convincere Hezbollah a ritirarsi dal confine settentrionale del Libano non porteranno a nulla.
È la prima volta da settimane che Washington si mostra tanto preoccupata sui rischi di un ampio conflitto armato tra Israele e Hezbollah. Questo vuol dire che gli israeliani si stanno preparando per l’offensiva, ma non necessariamente che abbiano già preso una decisione. Messaggi simili possono avere anche l’obiettivo d’intensificare la pressione su Hezbollah per accelerare i negoziati.
Israele è ossessionato dall’idea che l’organizzazione libanese – in particolare i suoi corpi scelti Radwan, specializzati nelle operazioni da infiltrati – possa compiere un attacco simile a quello dell’organizzazione islamista palestinese Hamas del 7 ottobre 2023. Perciò vorrebbe che il gruppo venisse respinto il più lontano possibile dalla sua frontiera, almeno dieci o quindici chilometri a nord, nella migliore delle ipotesi fino al fiume Leonte.
Per Israele è un’occasione unica per indebolire il suo nemico e, più in generale, tutto il cosiddetto asse della resistenza (libanesi, palestinesi, siriani e altri gruppi sostenuti dall’Iran e nemici di Tel Aviv). Decine di migliaia di civili sono già stati allontanati dai due lati della frontiera, il che potrebbe facilitare le operazioni. I vertici dell’esercito israeliano invece sono meno compatti. Il ministro della difesa Yoav Gallant è favorevole all’offensiva fin dal 7 ottobre. Il ministro Benny Gantz, che fa parte del gabinetto di guerra del premier Benjamin Netanyahu, e il capo di stato maggiore, il generale Gadi Eizenkot, sembrano voler dare un’altra opportunità alla diplomazia. Netanyahu tergiversa, concentrato sui calcoli personali.
Lo stato ebraico è ossessionato dall’idea che l’organizzazione sciita libanese, in particolare i corpi scelti, possa compiere un attacco simile a quello di Hamas del 7 ottobre
Hezbollah non vuole una guerra aperta con Israele. Il sostegno a Hamas ha messo il movimento in una posizione delicata. Lo stato ebraico sta espandendo le azioni in diverse regioni del Libano, indebolendo così la capacità di deterrenza del gruppo sciita. Hezbollah non si oppone a un accordo con Israele, ma si rifiuta di avviare i negoziati prima che sia finita la guerra a Gaza. Il suo margine di manovra sarà probabilmente più limitato se Hamas sarà sconfitto militarmente nella Striscia.
A che punto sono i negoziati? La Francia ha fatto una proposta che prevede un cessate il fuoco, il ritiro di Hezbollah a dieci chilometri dal confine e un dispiegamento dell’esercito libanese nella zona. La proposta non piace al movimento sciita. E non sembra riscuotere nemmeno il sostegno di Washington, che ritiene impossibile risolvere la situazione alla frontiera libanese prima della fine della guerra a Gaza. Verosimilmente i negoziati si concentreranno su un ritiro di Hezbollah il più lontano possibile dal confine, in cambio di un ritiro israeliano dai territori libanesi occupati.
Come potrebbe svolgersi un’operazione israeliana? L’esercito di Tel Aviv potrebbe innanzitutto intensificare i bombardamenti nel sud del Libano e colpire le infrastrutture chiave di Hezbollah in altre regioni. In un secondo momento, se l’obiettivo è creare una zona di sicurezza nel Libano meridionale, potrebbe essere necessaria un’operazione di terra. Ma la terza fase sembra più difficile da immaginare. In caso di offensiva israeliana, Hezbollah moltiplicherà gli attacchi contro i nemici e lancerà decine di missili e razzi su Israele (secondo le stime ne possiede circa 150mila). Ha i mezzi per colpire le infrastrutture e le grandi città dello stato ebraico. Sul campo può condurre operazioni di guerriglia per sfiancare gli avversari. E potrà senza dubbio contare sull’appoggio di altre forze provenienti da Siria, Iraq, Iran o Yemen, cosa che gli garantirà un maggiore supporto logistico e di armi.
Israele, invece, non potrà contare sul via libera statunitense. Può sperare che, una volta lanciata l’operazione, Washington si ritrovi costretta ad appoggiarla, ma questo avrà un costo politico importante nei confronti sia dell’occidente sia degli arabi.
Come circoscrivere la guerra nello spazio e nel tempo? È il dilemma israeliano. E dopo? Se a Gaza sarà dichiarata una tregua prima dell’inizio del Ramadan, sarà rispettata in Libano? Per Hezbollah la risposta è sì, Israele non ci crede. Continuare a combattere sarebbe un segnale negativo. Sarebbe molto più difficile rilanciare i negoziati. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1553 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati