Per questo round, dovrebbe essere finita. Il rischio di uno scontro diretto tra Israele e Iran si è drasticamente ridotto dopo aver raggiunto il culmine. Nella notte tra il 18 e il 19 aprile Israele ha risposto all’attacco iraniano del 13 aprile, che a sua volta era una reazione a quello israeliano del 1 aprile contro il consolato iraniano a Damasco. Pare che non ci sarà una risposta alla risposta della risposta. Israele infatti, sotto le pressioni statunitensi, ha scelto il ritorno alla guerra fantasma, con attacchi non rivendicati che hanno lo scopo di mandare un messaggio evitando al tempo stesso di provocare un conflitto più vasto. Si è trattato di droni, come affermano gli iraniani, o di missili? Da dove sono stati lanciati? Il bersaglio, probabilmente una base militare nella regione di Isfahan, è stato colpito? Sarà importante chiarire questi elementi.

Quello che sappiamo, invece, è che i funzionari israeliani hanno preferito mantenere il silenzio e i loro colleghi iraniani hanno fatto di tutto per sminuire la portata dei fatti. I due paesi hanno salvato la faccia: Israele ha dimostrato di essere in grado di colpire il territorio iraniano senza l’aiuto di Washington, l’Iran ha potuto affermare ancora una volta che la sua deterrenza è stata ristabilita. Da una parte e dall’altra la parola d’ordine ormai è de-escalation.

Israele non potrebbe intraprendere una guerra con l’Iran senza gli Stati Uniti, almeno fino a quando non avrà dalla sua parte una Casa Bianca devota alla causa

Lo spettro della guerra, tuttavia, non è svanito. Israele aveva promesso di rispondere in modo più deciso. Diverse ragioni potrebbero spiegare perché alla fine lo stato ebraico non l’abbia fatto: gli Stati Uniti non volevano essere coinvolti in un conflitto su vasta scala contro l’Iran; l’attacco iraniano ha permesso a Israele di uscire dall’isolamento diplomatico; Wash­ington ha imposto nuove sanzioni alla Repubblica islamica; e, soprattutto, lo stato ebraico ha altre priorità. In cima alla lista: Rafah. Al secondo posto: Hezbollah. L’Iran è solo in terza posizione.

Il governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu vuole proseguire le operazioni a Gaza. Vuole sconfiggere Hamas, liberare gli ostaggi e spingere una parte della popolazione dell’enclave verso l’Egitto. Ma vuole farlo senza contrasti con l’alleato statunitense. Il fatto di aver “ceduto” sulla reazione all’Iran potrebbe offrirgli un margine di manovra più ampio in questo senso.

Dal punto di vista israeliano, oggi Hezbollah rappresenta la principale minaccia alla sicurezza. L’Iran si trova a più di mille chilometri di distanza e non è (ancora) una potenza nucleare. Anche se dopo il 7 ottobre si è contenuto, il partito sciita libanese ha 150mila missili ammassati a poche decine di chilometri dallo stato ebraico ed è lo strumento iraniano in grado di causare maggiori danni a Tel Aviv .

Israele non potrebbe avviare una guerra su vasta scala con l’Iran senza gli Stati Uniti, almeno fino a quando non avrà dalla sua parte una Casa Bianca devota alla causa: cosa che potrebbe avvenire nel giro di qualche mese, in caso di vittoria di Donald Trump. Tuttavia, indipendentemente da chi ci sarà a Washington, Israele non tollererà un Hezbollah così forte, e tanto meno un Iran dotato di armi nucleari.

Se nei prossimi mesi non si arriverà a un accordo che preveda una zona cuscinetto alla frontiera tra Libano e Israele, da cui la milizia sciita dovrebbe ritirarsi, la guerra sembra inevitabile. Più tarderà l’accordo, più aumenterà il rischio di una vasta operazione israeliana in Libano. Hezbollah però non accetterà di aprire delle trattative finché la guerra a Gaza non sarà finita, scommettendo sul fatto che anche allora Hamas non sarà stata eliminata dall’enclave. Questo fronte resterà caldo, almeno per qualche settimana.

Allo stesso tempo, la Repubblica islamica si avvicina ogni giorno di più alla bomba atomica. I leader iraniani sono pronti a fare questo passo? Attualmente non è chiaro. Diventare una potenza nucleare comporta anche dei rischi. Tuttavia questo permetterebbe al regime di assicurarsi la sopravvivenza e darebbe un margine di manovra ancora più ampio ai suoi alleati nella regione.

Israele farà tutto il possibile per evitare questo scenario, anche a costo di rischiare un conflitto con la Repubblica islamica.

Sembra che le traiettorie di queste due potenze siano destinate a scontrarsi. Eppure, il conflitto può essere evitato. Sarebbe però necessario raggiungere un’intesa tra Israele e Hezbollah e resuscitare l’accordo sul nucleare iraniano, che Trump aveva stracciato. Come minimo, questo presupporrebbe un accordo provvisorio tra gli Stati Uniti e l’Iran, o al contrario un rinnovato impegno statunitense per limitare l’influenza della Repubblica islamica in Medio Oriente. Tutto questo implica, infine, che Israele accetti di fare concessioni sulla questione palestinese per ottenere una vera alleanza con i paesi arabi contro l’Iran. Ma nel Medio Oriente di oggi tutto questo sembra davvero una chimera. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1560 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati