Il tiranno Dionisio I governò la città siciliana di Siracusa per 38 anni nel IV secolo aC. Visse nell’abbondanza e non si fece mancare nessun lusso. Quanto era felice? Alcuni secoli dopo, lo scrittore e statista romano Cicerone cercò di rispondere a questa domanda nelle sue Tusculanae disputationes, incentrate su uno degli adulatori di corte di Dionisio, un uomo di nome Damocle.
Quest’ultimo sosteneva che, dato il potere, la fama, la ricchezza e i piaceri che il tiranno si godeva, nessuno avrebbe potuto essere più felice. Come racconta Cicerone, Dionisio fu molto divertito da questa affermazione e chiese a Damocle se voleva provare anche lui cosa vuol dire essere un re e valutare lui stesso quella felicità. Damocle accettò con entusiasmo e gli fu subito offerto un letto d’oro su cui sdraiarsi, oltre all’assistenza di servitori pronti a esaudire i suoi desideri.
Poi, però, mentre Damocle si godeva ogni lusso immaginabile, una spada lucente scese dal soffitto sopra la sua testa, appesa solo a un crine di cavallo: la proverbiale spada di Damocle. Il pericolo e l’incertezza della situazione sostituirono immediatamente tutti i piaceri e Damocle non fu più in grado di pensare a nient’altro che alla lama mortale pronta a tagliarlo in due. La lezione era chiara: Damocle capì che Dionisio era un tiranno vezzeggiato ma anche odiato, che temeva costantemente per la propria vita, senza nessuna certezza per il futuro. Imparata la lezione, Damocle si ritirò in silenzio dalla corte e tornò a un’esistenza umile. “Non può esserci felicità per chi vive in costante apprensione”, concludeva Cicerone. La leggenda della spada di Damocle racchiude uno dei grandi paradossi della vita: tutti cerchiamo opportunità e abbondanza, ma queste cose si accompagnano a incertezza e rischio, che invece detestiamo. Dobbiamo scegliere tra il terrore che deriva da una vita ricca e avventurosa e la noia che accompagna la sicurezza e la prevedibilità di una vita più modesta.
Ma è davvero così? Credo che il paradosso presenti una falsa scelta. Se capiamo come gestire l’incertezza invece di cercare di evitarla, possiamo allontanarci da quella spada sospesa.
Un mio amico in cura per un cancro doveva sottoporsi ogni tre mesi a un esame del sangue che indicava se la malattia era in fase di guarigione. In caso contrario avrebbe dovuto sottoporsi a un trattamento aggressivo e doloroso. I giorni che precedevano ogni esame erano un’agonia, non tanto perché non se la sentiva di affrontare le eventuali cure, ma a causa dell’incertezza. Non sapere cosa aspettarsi dominava i suoi pensieri, gli rubava il sonno e gli impediva di concentrarsi su altro. Anche se la situazione del mio amico era particolarmente grave, quasi tutti possiamo immedesimarci nel suo disagio.
Secondo gli studiosi siamo naturalmente portati a detestare questo stato di sospensione, che gli psicologi chiamano “intolleranza all’incertezza”. Le ricerche dimostrano che questa sensazione ci paralizza attraverso l’ansia e ci fa sprecare tempo e fatica alla ricerca della prevedibilità. Gli economisti usano un termine simile, “avversione all’incertezza”, e suggeriscono come questo stato d’animo possa portare a scoraggiarsi rispetto agli investimenti, specialmente se sembrano rischiosi.
Esiti indesiderati
Il disagio nasce dal fatto che l’incertezza stimola una parte del cervello formata dalla corteccia cingolata anteriore e dall’amigdala, segnalando una possibile minaccia e quindi una risposta allo stress. Se l’incertezza non può essere risolta, si possono avere concentrazioni elevate di glucocorticoidi nel sangue, che possono causare problemi come l’insonnia. Non sorprende che questa condizione sia particolarmente difficile per chi registra già un alto grado di nevroticismo: gli esperimenti hanno rilevato che queste persone sono meno disposte di altre ad aspettare in uno stato di incertezza.
Sebbene l’incertezza sia tutt’altro che piacevole, ha un’evidente base evolutiva: se i vostri antenati avessero sistematicamente ignorato questa condizione, difficilmente sarebbero sopravvissuti per trasmettere i loro geni. Probabilmente, però, hanno lasciato in eredità la loro incapacità di tollerare l’incertezza alle generazioni successive. Naturalmente, i vostri antenati non pensavano a voi, i loro discendenti, in difficoltà per i livelli elevati di glucocorticoidi, ma alla loro sicurezza.
Le persone anziane hanno imparato con l’esperienza che nella maggior parte dei casi le loro paure peggiori non si sono avverate e tutto si è risolto
Se ci sembra un’esperienza spiacevole, è perché, sul piano mentale, il nostro pregiudizio di negatività ci spinge ad attribuire un peso eccessivo ai possibili esiti indesiderati. Anche in questo caso è un tratto evolutivo che serve a proteggersi, perché i buoni risultati sono piacevoli, ma quelli cattivi possono essere mortali, quindi fare attenzione a quello che potrebbe succedere è fondamentale. Il lavoro dei ricercatori che studiano questo pregiudizio suggerisce però che non è strettamente razionale, perché può spingerci a valutare in modo impreciso le varie possibilità e perfino a distorcere la verità. Per esempio in uno studio pubblicato nel 2009 sul Journal of Experimental Social Psychology un ricercatore riferiva che i partecipanti consideravano più credibili le opinioni inquadrate in termini negativi.
In definitiva, l’intolleranza all’incertezza, unita alla negatività, può facilmente peggiorare la qualità della vita, se questa combinazione ci porta a rinunciare a delle opportunità a causa di un esagerato timore di esiti negativi. Una paura ancestrale del rifiuto sociale che distorce la realtà può impedirvi di chiedere a qualcuno di uscire con voi, nel qual caso l’avversione nei confronti dell’incertezza potrebbe farvi perdere un vantaggio per la vostra vita sentimentale.
Allo stesso modo, un’ansia per la solitudine fa presa sulla parte più antica del vostro cervello e può impedirvi di lasciare la città dove siete nati, anche se farlo potrebbe rendervi molto più felici.
Per costruire una vita migliore non bisogna eliminare l’avversione per l’incertezza e prendere qualsiasi rischio. L’obiettivo è imparare a gestirla in modo che non sia lei a gestire voi. La chiave è il ricorso alla metacognizione, che consente di trattare l’incertezza in modo analitico e non solo emotivo.
Per farlo è necessario trovare un quadro di riferimento esterno per strutturare il modo in cui pensate alle circostanze incerte. Pensare in questo modo non richiede un dottorato in statistica. Si comincia semplicemente con il delineare in modo schematico l’incertezza della situazione che si sta affrontando.
Per esempio, supponiamo che abbiate un lavoro molto sicuro, ma che non vi appassiona. Guardate spesso gli annunci di lavoro, ma non vi candidate mai perché dovreste affrontare una curva di apprendimento molto ripida, trasferirvi in un posto nuovo e forse mettere a rischio la stabilità che avete. In altri termini, cambiare lavoro potrebbe avere un esito incerto. Ma secondo le ricerche probabilmente state ignorando i possibili lati positivi, come per esempio trovare un lavoro che vi piace davvero, avere nuove cose interessanti da imparare e, in generale, sentirvi più vivi.
Per cominciare a creare un modello mentale migliore, compilate due elenchi: uno di costi, potenziali ed effettivi; l’altro di benefici. Il passo successivo nella strutturazione del pensiero è una sfida più grande: abbinare una probabilità plausibile a ciascun costo e beneficio. Qual è la probabilità realistica che vi ritroviate temporaneamente disoccupati? Qual è la probabilità che il nuovo lavoro vi piaccia di più? Se questo compito vi sembra difficile, chiedete a un amico di aiutarvi con un pizzico di obiettività in più. Un classico studio del 1979 sul processo decisionale ha dimostrato che, anche quando le vostre valutazioni non sono altro che congetture, il modello che avete creato sarà molto probabilmente più accurato di quanto non sarebbe affidarsi solo all’intuizione e all’emozione per prendere una decisione (anche se sapere quando fidarsi del proprio istinto è sempre prezioso).
Nessuna garanzia
Con la vostra lista e i vostri calcoli a portata di mano, provate a riflettere in modo critico sulla decisione. Forse deciderete di buttarvi o forse no. Non avete garanzie che una delle due scelte sia quella giusta. In ogni caso, però, quasi sicuramente sarete meno tormentati dall’incertezza, perché vi siete dati da fare per arrivare a una decisione e per raggiungere la serenità invece di essere paralizzati dall’ansia. Avrete anche una risposta alla domanda che potreste farvi in futuro: perché ho deciso di farlo?
Vorrei sottolineare un altro modo per eliminare la spada di Damocle sulla vostra testa: invecchiare. Le persone di solito diventano più felici con l’età perché le emozioni positive aumentano, come anche la coscienziosità e l’amabilità, e quelle negative diminuiscono. Questo perché il pregiudizio della negatività si riduce con il passare degli anni.
Come hanno scoperto i ricercatori in una meta-analisi su cento studi, le persone anziane prestano maggiore attenzione alle informazioni positive e le ricordano meglio dei giovani. Quasi certamente è perché gli anziani hanno imparato con l’esperienza che nella maggior parte dei casi le loro paure peggiori non si sono avverate e alla fine tutto si è risolto per il meglio.
Nonostante la tremenda lezione appresa da Damocle, per come l’ha raccontata Cicerone, Dionisio non andò mai incontro al terribile fato che la spada sospesa suggeriva. Pur essendo un tiranno della peggior specie, “non fu colpito a morte da un fulmine di Giove Olimpio, né Asclepio lo fece consumare e morire a causa di qualche dolorosa e lunga malattia”. Dionisio è morto nel suo letto all’età di 65 anni. Cicerone non ci dice se con gli anni sia riuscito a sfuggire alla sua incertezza emotiva. Voi però potete farlo. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1590 di Internazionale, a pagina 114. Compra questo numero | Abbonati