Da quando Sadyr Japarov è diventato presidente del Kirghizistan nel 2021, i diverbi con Mosca sono diventati molto rari. Il paese centrasiatico, infatti, ha spesso percorso le stesse tappe dell’ex Unione Sovietica, adottando molte delle sue leggi autoritarie (come quella recente sugli “agenti stranieri”). Ma nel luglio 2023 Japarov si è ritrovato a discutere con il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov.
Lavrov aveva criticato la nuova legge sulla lingua ufficiale del Kirghizistan, che impone la conoscenza del kirghiso a tutti i dipendenti governativi: “Fin dall’inizio abbiamo ammonito i nostri amici kirghisi sottolineando la scarsa democraticità di quest’idea”, aveva detto da Mosca. “E l’abbiamo fatto più volte, ma alla fine ha prevalso un’altra politica”.
Japarov aveva risposto ipotizzando che il ministro russo si fosse espresso senza aver prima letto la legge. “Vogliamo sviluppare appieno la nostra lingua”, aveva chiarito in un’intervista. “Come sappiamo, i dipendenti statali e i membri del parlamento parlano per metà in russo e per metà in kirghiso, ma nessuno parla fluentemente né l’una né l’altra lingua, e si fa molta confusione. È quindi necessario imparare a padroneggiare entrambe le lingue allo stesso modo”.
Non è la prima volta che un funzionario russo contesta le scelte linguistiche del Kirghizistan. Politici nazionalisti e personaggi pubblici in Russia sono spesso in prima linea quando si tratta di denunciare presunte offese contro la loro lingua nei paesi dell’Asia centrale. E vista l’influenza di Mosca nella regione, ignorare questi commenti è difficile.
La replica di Japarov riflette una pratica consolidata tra le autorità kirghise e quelle del vicino Kazakistan su come reagire alle critiche. La scena è quasi sempre la stessa: un paese dell’Asia centrale vuole rafforzare la sua lingua madre, i funzionari russi esprimono insoddisfazione e Biškek (o Astana) rassicura Mosca che il russo non sarà accantonato, ma nel frattempo porta avanti il suo piano. Quando si tratta di politica linguistica, insomma, né le autorità kirghise né quelle kazache hanno paura di respingere la Russia.
Trasformazioni demografiche
Tra i cinque paesi dell’Asia centrale, il Kazakistan e il Kirghizistan sono quelli con la percentuale più alta di russofoni e di persone di etnia russa. I due gruppi però non combaciano completamente. L’uso del russo come prima lingua per molti kazachi e kirghisi è la conseguenza di più di un secolo di politiche coloniali: prima sotto il dominio dell’impero russo, poi sotto quello sovietico.
Il russo spesso funziona come lingua franca, facilitando la comunicazione tra i tanti gruppi etnici che vivono in questi paesi. Nei principali centri urbani ed economici, padroneggiarlo spesso vuol dire avere migliori opportunità di lavoro. Allo stesso tempo sia il Kazakistan sia il Kirghizistan, dalla ritrovata indipendenza nel 1991, s’impegnano per far rivivere la propria lingua nazionale.
Questi sforzi hanno coinciso con notevoli trasformazioni demografiche. Secondo l’ultimo censimento sovietico, svolto nel 1989, il Kazakistan aveva una percentuale molto bassa di persone di etnia kazaca, pari a poco più del 39 per cento della popolazione. E allo stesso modo l’etnia kirghisa costituiva poco più del 52 per cento degli abitanti del Kirghizistan. Oggi, a distanza di trent’anni, in Kazakistan i kazachi sono la grande maggioranza, cioè il 70 per cento del totale. In Kirghizistan la percentuale di kirghisi è ancora più alta e raggiunge il 77 per cento.
Simili cambiamenti hanno avuto un profondo impatto sull’uso della lingua nazionale in entrambi i paesi, facendone aumentare significativamente la prevalenza a scapito del russo, sempre più in declino. Tuttavia, questa tendenza non si può attribuire solo a fattori demografici, e non si può dire che sia semplicemente il risultato di scelte dello stato.
“La lingua kazaca sta diventando la norma in Kazakistan in modi che durante la mia infanzia, negli anni ottanta, erano inimmaginabili”, spiega Azamat Junisbai, professore di sociologia al Pitzer college di Claremont, in California. Cresciuto nell’ambiente russofono dell’ex capitale del Kazakistan, Almaty, Junisbai ha avviato un percorso di ricerca personale dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022. Ha raccontato la sua esperienza nell’agosto 2022 in un thread su Twitter riscuotendo molta attenzione. “Ricordo sempre più spesso il disprezzo che a quel tempo provavo per la maggior parte delle cose kazache. Associavo la lingua e la cultura kazache alla rozzezza della campagna, all’ignoranza. A uno status sociale modesto”, ha scritto. “Suppongo sia esattamente questa l’idea della colonizzazione capillare”.
Il thread ha rapidamente guadagnato popolarità anche grazie alle condivisioni e ai commenti positivi di utenti di altri paesi dell’Asia centrale, che hanno fatto eco agli stessi sentimenti. Questo ha evidenziato una tendenza più ampia: non solo le generazioni più giovani in Kazakistan e Kirghizistan conoscono di più la loro lingua nativa, ma anche le generazioni più anziane stanno rivedendo la loro opinione sulla lingua e sull’identità. I politici del Kazakistan non fanno eccezione. “Il kazaco sta guadagnando peso e penso che i politici debbano in qualche modo riflettere questo cambiamento attraverso le loro azioni”, continua Junisbai.
Un passo cruciale
La rinascita della lingua nazionale in Kirghizistan e Kazakistan precede di molto l’invasione russa dell’Ucraina. Nel 1989, all’apice della perestrojka (la fase di riforme dell’Unione Sovietica avviata dal presidente Michael Gorbačev), entrambi i paesi adottarono leggi che designavano il kirghiso e il kazako come le rispettive “lingue ufficiali”. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica questo si rivelò un passo cruciale nel processo di costruzione della nazione, poiché apriva la strada alla riforma linguistica e dell’istruzione che sarebbe seguita negli anni novanta e nei primi anni duemila.
Negli ultimi quindici anni, una richiesta sempre più pressante di notizie in lingua locale ha fatto emergere popolari testate indipendenti. Un esempio degno di nota è Politklinika, in Kirghizistan, che da un decennio si occupa di giornalismo investigativo in kirghiso. È stato comunque un caso raro, dato che la maggior parte dei mezzi d’informazione che mirano a un pubblico nazionale di solito esordiscono con un’edizione in lingua russa.
Nonostante tutto, nel campo delle politiche linguistiche i due paesi hanno continuato ad affermare la loro autonomia
Politklinika oggi è nel mirino delle autorità, impegnate a soffocare i mezzi d’informazione indipendenti. Nonostante questo, la fondatrice del giornale, Dilbar Alimova, sostiene la nuova legge sulla lingua nazionale. “La decolonizzazione deve partire dalla lingua”, dice Alimova. Non crede però che queste misure siano un tentativo genuino di liberarsi dell’influenza russa. “Nei confronti delle organizzazioni non governative e dei giornalisti indipendenti Biškek si comporta come Mosca”, sottolinea riferendosi alla recente norma sugli “agenti stranieri”. “Se il governo volesse davvero affrancarsi dall’influenza della Russia, non adotterebbe le sue stesse politiche”.
Come Junisbai a proposito del Kazakistan, Alimova sostiene che chi è al potere nel suo paese si sente in obbligo di reagire alla crescente popolarità della lingua kirghisa. È anche un cambio generazionale. Secondo uno studio del 2023 condotto da M-Vector, un’importante società kirghisa che monitora i mezzi d’informazione, i canali statali russi tendono ad attirare un pubblico più anziano.
La diffusione del russo in Kazakistan e Kirghizistan ha permesso a Mosca di divulgare la sua propaganda in modo più efficace. Dai risultati di M-Vector emerge che le due emittenti straniere più popolari in Kirghizistan sono le reti statali russe Rossija-24 e Pervyj Kanal. A Bishkek la seconda ha il più alto share giornaliero e settimanale. In Kazakistan la situazione è simile: il canale tv più visto è Pervyj Kanal Evrazija, che per il 20 per cento appartiene al russo Pervyj Kanal.
La propaganda sponsorizzata da Mosca si rivolge principalmente al pubblico di lingua russa sia in Kazakistan sia in Kirghizistan; solo Pervyj Kanal Evrazija produce alcuni contenuti in kazaco. Vale anche per il mondo digitale: la principale piattaforma di propaganda russa online, Sputnik, vanta un seguito sui social media significativamente più ampio nelle sue edizioni in lingua russa, sia in Kazakistan sia in Kirghizistan.
Il centro studi PaperLab, con sede in Kazakistan, ha scoperto che i contenuti sponsorizzati dalla Russia hanno un chiaro impatto sui russofoni dell’Asia centrale. Sono riusciti, per esempio, a plasmare l’atteggiamento della maggioranza sulla guerra in corso in Ucraina. Secondo il centro studi, tra le comunità di lingua russa dei due paesi il sostegno al Cremlino e alla sua versione del conflitto è più alto che tra le persone di lingua kazaca o kirghisa. “La scelta linguistica influenza in modo significativo la percezione della guerra. In entrambi i paesi, gli intervistati che parlano russo tendono più spesso a incolpare l’Ucraina”, conclude lo studio.
In epoca post-sovietica, e in particolare sotto Vladimir Putin, Mosca ha promosso attivamente il russo in Asia centrale, facendo contemporaneamente leva sulla sua importanza, che non è mai diminuita.
Le università statali russe sono la via più accessibile per i giovani centrasiatici in cerca di opportunità all’estero, e il Cremlino ha attivato diversi programmi per rafforzare l’insegnamento del russo nella regione. Per Putin è una priorità, tanto che si è perfino accordato con Japarov nel settembre 2023 per avviare la costruzione di tre nuove scuole di lingua russa in Kirghizistan, tutte finanziate da Mosca.
Accessi d’ira
Quando il Kazakistan o il Kirghizistan prendono provvedimenti per promuovere la loro lingua, la risposta dei politici russi può spaziare da una semplice esortazione alla cautela fino a veri accessi d’ira. Quando nel 2017 Astana aveva annunciato di voler scrivere la lingua kazaca nell’alfabeto latino, il deputato della duma Aleksej Žuravlev aveva invitato gli altri parlamentari a intervenire sul tema rivolgendosi ai colleghi kazachi. “Questo è chiaramente un attacco contro la Federazione russa”, era stato il suo commento.
“Associavo la lingua e la cultura kazache alla rozzezza della campagna, all’ignoranza. A uno status sociale modesto”
Quattro anni dopo, quando in Kazakistan è entrata in vigore una legge che impone l’uso del kazako sui cartelli stradali e sui cartelloni pubblicitari, la risposta dei politici russi non è stata solo aggressiva, ma è anche scivolata nel razzismo e nelle minacce. “Conosco bene la mentalità asiatica e, sfortunatamente, lì si capisce solo il linguaggio della forza”, ha detto il deputato Aleksandr Borodaj, che nel 2014 era stato ai vertici del governo di occupazione della regione ucraina del Donetsk. “Questa forza non sempre dev’essere usata, ma bisogna dimostrare la capacità di esercitarla. Per i deboli non c’è rispetto”.
Per i funzionari kazachi e kirghisi questo significa trovarsi tra l’incudine e il martello, stare in bilico tra la necessità di soddisfare la domanda di molti e quella di contenere l’aggressività e le minacce dei politici e dei propagandisti russi.
“Non sono del tutto convinto del fatto che le autorità kazache siano filorusse”, dice Junisbai, che paragona la vicinanza a Mosca all’“essere in una stanza con un pazzo che ha una pistola in mano (cerchi di renderti il meno visibile possibile e speri che lui non si accorga di te)”.
Nonostante tutto, nell’ambito delle politiche linguistiche, i due paesi dell’Asia centrale hanno continuato ad affermare silenziosamente la loro autonomia. La discussione tra Japarov e Lavrov non è l’unico caso in cui un leader dell’Asia centrale ha rischiato di provocare l’ira di Mosca.
Nel novembre 2023 il presidente kazaco Qasym-Jomart Tokayev, mentre accoglieva una delegazione russa guidata dallo stesso Putin, ha cominciato il suo discorso in kazaco prima di passare al russo, rompendo così una lunga tradizione. Una mossa che ha sorpreso gli ospiti, costringendoli a indossare le cuffie per la traduzione simultanea.
“È stato un gesto che difficilmente può essere sopravvalutato”, ha commentato su Telegram l’analista politico russo Arkadij Dubnov. “Tokayev ha immediatamente chiarito che il Kazakistan intende perseguire una politica linguistica indipendente, in cui il russo avrà certamente onore e rispetto, ma l’obiettivo principale rimane lo sviluppo del kazaco.”
Simili gesti da parte dei leader del Kazakistan e del Kirghizistan sono probabilmente rivolti ai cittadini, tra cui sembrano infatti avere molta risonanza: alcuni video del discorso di Tokayev hanno ottenuto milioni di visualizzazioni su YouTube. Tuttavia potrebbero anche essere interpretati come un messaggio per i funzionari di Mosca. “È stato un piccolo gesto, solo poche frasi. Ma penso che per loro sia importante dire: ‘Guardate, non siamo più una colonia russa’”, commenta Junisbai. “Si tratta però di un equilibrio davvero difficile da mantenere. Lo spazio di manovra è pochissimo, considerando che la Russia è ormai uno stato fascista a tutti gli effetti”. ◆ ab
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Questo articolo è uscito sul numero 1568 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati