Quattro settimane fa Joe Biden e Donald Trump si sono sfidati in un dibattito televisivo in cui il momento più devastante è arrivato quando il primo ha detto: “Continuerò ad agire fino a quando non avremo un bando totale del… del… del… totale iniziativa rispetto a quello che possiamo fare con più polizia di frontiera e più funzionari per le richieste d’asilo”. Trump ha colto l’occasione rispondendo in modo sarcastico: “Non ho la minima idea di cosa abbia detto alla fine della frase, e non credo che ce l’abbia nemmeno lui”. A quel punto anche i più accaniti sostenitori di Biden hanno dovuto riconoscere che non era in pieno possesso delle sue facoltà mentali.

Il 21 luglio Biden ha gettato la spugna, e immediatamente siamo stati investiti dalle sviolinate sullo straordinario patriottismo di un presidente che ha sacrificato le proprie ambizioni per salvare il paese da Trump. Ma la verità è che Biden è rimasto aggrappato ostinatamente alla candidatura per settimane, quando era evidente per tutti che non avrebbe mai potuto vincere. Dopo l’annuncio del ritiro abbiamo anche dovuto ascoltare una serie infinita di elogi alla presidenza, che però hanno omesso la decisione di garantire sostegno diplomatico e assistenza materiale all’offensiva genocida di Israele a Gaza, che ha costretto la grande maggioranza dei palestinesi a lasciare la propria casa e ha causato la morte di migliaia di bambini.

Non serve celebrare Biden per capire che la sua uscita di scena è una buona notizia. Una vittoria di Trump sarebbe un disastro per gli Stati Uniti. Durante il dibattito del 27 giugno l’ex presidente ha superato a destra Biden sulla Palestina, dichiarando incredibilmente che il presidente era diventato un “palestinese cattivo”. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu spera in un successo dei repubblicani, che gli darebbero carta bianca per compiere massacri ancora peggiori di quelli a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi. Inoltre tutto lascia pensare che Trump metterebbe in atto una serie di politiche crudeli sul fronte interno.

Il minimo che possiamo aspettarci da Donald Trump è che si comporti come durante il suo governo, quando ha tagliato le tasse ai ricchi, ha indebolito le norme che garantiscono la sicurezza sui luoghi di lavoro e ha riempito il National labor relations board (l’agenzia governativa che si occupa di far rispettare il diritto del lavoro) con persone contrarie agli scioperi. Ma potrebbe andare molto peggio.

Scenario autoritario

Durante la convention nazionale repubblicana c’erano ovunque cartelli con la scritta “deportazioni di massa subito!”. Uno dopo l’altro, i relatori hanno accusato gli immigrati irregolari di essere responsabili dell’epidemia di overdose da fentanyl che sta devastando gli Stati Uniti.

Secondo stime al ribasso, nel paese vivono undici milioni di immigrati senza documenti. Come ha scritto il giornalista Radley Balko, se Trump dovesse mettere in atto il suo programma di espulsioni, la società statunitense si trasformerebbe in un incubo autoritario. Trump potrebbe affidare la gestione del progetto a Stephen Miller, l’unico alto funzionario esterno alla famiglia Trump a resistere per tutti e quattro gli anni della sua amministrazione. Miller ha illustrato i suoi piani, che prevedono di coinvolgere la guardia nazionale, le forze dell’ordine statali e locali, le agenzie di polizia federali e anche l’esercito. Gli agenti incaricati delle espulsioni si infiltrerebbero nelle città e nei quartieri, rastrellando casa dopo casa e negozio dopo negozio alla ricerca di immigrati non in regola. Milioni di persone verrebbero confinate in accampamenti lungo il confine in attesa di essere trasportate nei paesi d’origine a bordo di aerei militari.

Chiunque voglia evitare una catastrofe simile dovrebbe essere felice del ritiro di Biden. Tuttavia questo non significa che la vicepresidente Kamala Harris riuscirà a batttere Trump: la capacità di completare una frase è un buon inizio, ma non bisogna dimenticare che anche il significato delle frasi ha la sua importanza.

Biden aveva compromesso le sue possibilità di vittoria già prima che i suoi problemi fisici e mentali diventassero evidenti, soprattutto a causa del sostegno dato a Netanyahu. Una prestazione migliore durante il dibattito non lo avrebbe certo salvato dalla sconfitta in molti stati decisivi, per esempio in Michigan, dove vive la più grande comunità araba e musulmana del paese.

Riforme indispensabili

Sul fronte interno, Biden aveva fatto qualche piccolo passo nella giusta direzione nelle ultime settimane della sua campagna elettorale. Aveva parlato di cancellare i debiti per le prestazioni sanitarie e si era finalmente mosso in favore dell’indispensabile riforma della corte suprema, un tema sollevato più volte dall’ala progressista del Partito democratico. Inoltre il presidente aveva presentato un piano per limitare gli aumenti degli affitti al 5 per cento, vincolando gli sgravi fiscali per i proprietari al rispetto di questa soglia.

Queste mosse hanno dimostrato che i dirigenti del Partito democratico avevano finalmente capito la necessità di andare incontro a un elettorato che vuole delle riforme, e che potrebbe decidere le elezioni di novembre. Harris è molto vicina alla nomination democratica. Per quanto sia difficile ricordarlo, la vicepresidente un tempo sosteneva l’adozione di un sistema sanitario universale, ma aveva fatto marcia indietro nel corso della campagna presidenziale del 2020 in un goffo tentativo di raccogliere maggiori consensi. Ora potrebbe resuscitare quell’idea.

Trump e il suo candidato alla vicepresidenza J.D. Vance useranno una pesante retorica populista. Il discorso di Vance alla convention ha affrontato le difficoltà delle comunità colpite dalla deindustrializzazione, dalla crisi degli alloggi, dall’epidemia da oppioidi e da altri problemi che affliggono la società. Frasi come “i posti di lavoro sono stati trasferiti all’estero e i nostri figli sono stati mandati in guerra” hanno un innegabile fascino, ma quando arriva il momento d’introdurre politiche serie per risolvere questi problemi, si trasformano in aria fritta.

Questo falso populismo poggia su un dolore reale, e la sua forza di attrazione non può essere neutralizzata ribadendo che tutto va bene e proponendo le solite ricette liberali. Se Harris riuscirà a contrastarlo con politiche che aiutino davvero i lavoratori, gli Stati Uniti e il mondo potrebbero evitare le conseguenze di una vittoria di Trump. ◆ as

Le opinioni
Il momento della procuratrice

L’unica volta che si è candidata in una campagna elettorale nazionale, durante le primarie del Partito democratico in vista delle presidenziali del 2020, Kamala Harris ha fatto molta fatica a elaborare un messaggio politico credibile. Quell’esperienza negativa, unita alle sue difficoltà da vicepresidente, porta alcuni commentatori a sostenere che Harris non sia pronta per sfidare Donald Trump, candidato del Partito repubblicano, alle presidenziali di novembre. Sul New York Times Nicole Allan sostiene invece che possa vincere, perché le condizioni politiche attuali le sono molto più favorevoli di quattro anni fa.

“All’epoca Harris si è trovata a competere con candidati progressisti come Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, in un momento in cui gli elettori di sinistra erano preoccupati per le violenze della polizia e chiedevano la riforma della giustizia penale. Avendo costruito la sua carriera politica sul ruolo di procuratrice in California, era in una posizione scomoda e ha fatto fatica a trovare una collocazione”. Oggi invece il suo passato da procuratrice potrebbe tornarle utile: “Il suo sfidante è un uomo condannato in un processo penale e imputato in altri procedimenti. Inoltre gli elettori sono preoccupati soprattutto della criminalità e della sicurezza nelle città”.

Altri commentatori sostengono che Harris sia la persona giusta per portare avanti il messaggio del Partito democratico, che consiste principalmente nel condannare i tentativi dei repubblicani di limitare le libertà individuali. “Dopo che la corte suprema ha cancellato il diritto all’aborto a livello nazionale, Harris ha condannato la sentenza in un modo che a Biden, un cattolico praticante poco a suo agio a parlare di aborto, non è riuscito”, scrive il Los Angeles Times. “Harris ha partecipato a molti eventi insieme a donne che hanno raccontato le loro storie di interruzioni di gravidanze, violenze e problemi di fertilità”. ◆


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Questo articolo è uscito sul numero 1573 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati