La città di Mariupol è assediata dalle forze russe da più di tre settimane. Tra le centomila e le duecentomila persone sono ancora intrappolate al suo interno. I bombardamenti sono incessanti. Secondo le autorità locali, l’80 per cento delle infrastrutture è stato distrutto. In città mancano acqua, elettricità e riscaldamento. Contare il numero dei morti è impossibile. Il 21 marzo l’Ucraina ha respinto l’ultimatum con cui Mosca chiedeva la resa della città.
La caduta di Mariupol rappresenterebbe un duro colpo economico per l’Ucraina e una vittoria simbolica per la Russia. “Il controllo della città ha un significato pratico e simbolico per Mosca”, spiega Andrij Janitskyj, della Scuola di economia di Kiev. “È una grande città portuale e una base per le forze armate ucraine. Se i russi vogliono impossessarsi del corridoio terrestre dal Donbass alla Crimea devono controllare Mariupol”.
La città dista meno di trenta chilometri dai territori separatisti del Donbass controllati dai russi dal 2014.
A Mariupol ci sono fabbriche per la produzione di ferro, acciaio e macchinari pesanti, e cantieri navali. Le più grandi acciaierie ucraine, di proprietà del primo gruppo metallurgico del paese, la Metinvest, si trovano a Mariupol. Nei giorni scorsi lo stabilimento della Azovstal è stato gravemente danneggiato dall’artiglieria russa. Secondo Janitskyj l’esercito russo ha preso di mira non solo le infrastrutture civili, ma anche quelle economiche. L’obiettivo è provocare la maggior quantità possibile di danni.
Mariupol è anche il più grande porto commerciale del mare d’Azov. Nel 2021 le esportazioni ucraine in partenza da qui erano dirette principalmente ai paesi dell’Europa e del Medio Oriente, tra cui Italia, Libano e Turchia.
Dopo la guerra nel Donbass del 2014, il porto ha vissuto un periodo di crisi. In seguito all’annessione della Crimea, la Russia ha costruito un ponte che collega la penisola al resto del paese e ha imposto unilateralmente restrizioni alle navi che attraversano lo stretto di Kerč.
Janitskyj sottolinea che nell’assedio di Mariupol c’è anche un aspetto simbolico. Nel 2014 la città ha subìto una breve occupazione da parte delle forze filorusse. Quando Kiev ha perso il controllo del capoluogo regionale, Donetsk, Mariupol ha accolto la maggior parte dei profughi provenienti dal Donbass occupato, più di 96mila persone, secondo i dati del 2019.
Non solo Mariupol si trova nel territorio rivendicato dalla Repubblica popolare di Donetsk, riconosciuta dalla Russia prima dell’invasione, ma fa parte anche della Novorossija più volte evocata da Vladimir Putin, un’ampia area dell’Ucraina centrale e meridionale lungo la costa del mar Nero che il Cremlino considera “storicamente russa”. La conquista di Mariupol segnerebbe una grande vittoria per la propaganda di Mosca, secondo cui l’Ucraina è governata da una “banda di nazisti”. La città è stata infatti la base del battaglione Azov, un’ex unità paramilitare con radici in gruppi neonazisti e di estrema destra. Anche se il battaglione Azov rappresenta una parte molto piccola della guardia nazionale ucraina, la propaganda russa sostiene che i suoi uomini sono stati responsabili di omicidi e distruzioni a Mariupol. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1453 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati