“Questa valigia è la mia patria”
ovunque la apro
si sparge il profumo dei tulipani appassiti al confine
l’odore della secca dello stagno di Anzali
l’odore dei sali vaganti
l’odore delle nevi impallidite di Dena
l’odore tuo che scivola via
Ovunque vado
dalla valigia torna la voce cantilenante
di mia madre
la voce dei suoi lunghi capelli sciolti nella notte
la voce livida del vento
la voce ripida del ghiaccio
la voce delle mie vene danzanti
Sulla superficie dell’oceano la mia valigia s’infiamma
e anche noi tre prendiamo fuoco,
io, Nassim e Fatemeh
Nella mia valigia
Nassim attende ancora dietro la finestra
Io inseguo la morte
e Fatemeh fuma una sigaretta
negli abissi del fiume Arvand
Di quante estati
sono in debito con noi
le spalle nude di violaciocca?
Quante forche appese
sempre più cupe ci separano?
Di quante gocce di sangue
fu quell’ultimo bacio sulla più vicina sponda del confine?
Quanti anni ha
questa notte
che non smette di graffiare la luna?
Nella mia valigia
è imprigionato un pioppo
e una farfalla sbatte le ali tra le sue pareti
Nella mia valigia
la tua infanzia
dondola su una storia d’amore
e un profeta invoca sure senza baci
Il pane
o la libertà?
Io chiedevo alla mia patria quelle piogge equatoriali nascoste tra i tuoi capelli
non queste palme mozzate
e le fredde suole degli stivali dei soldati
Quella sincerità ondeggiante nella ripetuta battaglia
col pesce della tua bocca
che sapeva di pane fresco
e fu inghiottito dalla rivolta degli affamati
Nella mia valigia proiettile e parola
stanno insieme, umidi
e il treno abbandonato di Nishapur
con un carico di turchesi al collo
canta in fondo al burrone
Nella mia valigia
ogni notte
il ragazzo che amavo
scrive luna sulle mie mani
scrive Leyla
e ogni giorno
sotto il ponte di Seyyed Khandan
conta le ferite sul corpo dell’arcata
Io dal lurido versante delle masse
ti ho portato due parole rosse
dietro cui sorride un sepolcro
Quel ti amo che inizia da un passato remoto
e giunge al futuro inquieto delle montagne
e giunge ai bronzi e ai gerani
con un rammarico colmo di libertà
e una tazza piena di mare
è un sogno che attraversa il muro
Nella mia valigia
ci sono gocce di dubbio e lacrime,
nella mia valigia
c’è un cavallo imbizzarrito
In ogni aeroporto
cercate l’orma rossa della polvere da sparo
Ovunque vado
la costellazione del sangue
è il mio indirizzo
Bita Malakuti
è nata a Teheran nel 1973 e ha studiato arti drammatiche all’Università islamica Azad. Ha pubblicato tre raccolte di racconti e due libri di poesia. Oggi vive a Praga. Il titolo originale di questa poesia, In chamedan, vatan-e man ast , è ispirato a un verso del poeta palestinese Mahmud Darwish. Traduzione dal persiano di Faezeh Mardani e Francesco Occhetto.
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Questo articolo è uscito sul numero 1441 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati