Il 20 ottobre, quando Susana Cuesta si è svegliata, la sua casa a Pinar del Río era ancora senza elettricità. Solo dopo ha saputo che quasi tutta Cuba era al buio da mezzogiorno del 18 ottobre. “Sono spaventata, mi sento insicura e impotente. Non so dove andremo a finire”, ha detto via sms. “Il frigorifero si è completamente scongelato. Il latte è andato a male e ora sto cucinando la carne per farla durare di più”.

Molte persone sull’isola sono rimaste senza corrente per più di quattro giorni. Qualcuno cucina con la legna sui marciapiedi, si sono formate lunghe file per ottenere le poche bombole di gas disponibili ed è difficile comunicare perché non si possono ricaricare i telefoni. Gli ospedali cominciano a collassare. Una fonte che ha preferito rimanere anonima ha detto che nel centro pediatrico della provincia di Pinar del Río molti bambini affetti da scabbia non possono lavarsi per mancanza d’acqua e di carburante per pomparla. La maggior parte dei reparti dell’ospedale è al buio, a eccezione della terapia intensiva e di oncoematologia. Alcuni genitori hanno ricoverato i figli che hanno bisogno di aria condizionata o respiratori, allestendo letti di fortuna nei corridoi.

Da mesi i cubani affrontano disagi e blackout prolungati, ma il 18 ottobre il paese ha dichiarato una “emergenza energetica” per il collasso del sistema elettrico nazionale e il guasto della centrale Antonio Guiteras, la più grande dell’isola. Il giorno dopo l’Unión eléctrica, un’azienda di proprietà dello stato, ha annunciato di aver ristabilito l’11 per cento della fornitura elettrica, soprattutto nella parte occidentale del paese. Il sistema ha smesso di nuovo di funzionare poco ore dopo. Il 21 ottobre l’elettricità è tornata in quasi tutta L’Avana, la capitale.

Le cause dell’emergenza non sono nuove e da tempo gli esperti prevedevano una situazione simile. Oltre all’embargo statunitense, con cui il governo giustifica la maggior parte del degrado e delle difficoltà economiche, il presidente Miguel Díaz-Canel ha reso noto che la condizione delle infrastrutture è critica e manca il carburante. Il paese non può permettersi di comprarlo perché la valuta estera disponibile è poca e di recente la domanda è cresciuta. Nonostante tutto, il primo ministro Manuel Marrero Cruz ha detto che Cuba non è “in un tunnel senza uscita”, anche se ha ordinato la sospensione delle attività didattiche, culturali e ricreative, e di quelle nei luoghi di lavoro considerati non essenziali.

Generatori troppo costosi

Per molti la vita è diventata una questione di sopravvivenza. È aumentata la vendita informale di generatori elettrici o pannelli solari. Pochi, però, possono permetterseli: i prezzi arrivano anche a duemila dollari.

“Chi ha un generatore elettrico o dei pannelli solari ha familiari all’estero o una buona posizione economica”, spiega Cuesta.

In alcune regioni del paese ci sono state delle proteste. All’Avana, nei quartieri del Vedado, San Miguel del Padrón e Lawton, e nelle province di Santiago de Cuba e Villa Clara gli abitanti sono scesi in piazza per manifestare contro una situazione sfuggita completamente di mano. Il blackout cominciato il 18 ottobre è stato uno dei più lunghi nella storia di un’isola che ha vissuto diversi episodi simili, soprattutto dopo la caduta dell’Unione Sovietica e la conseguente perdita del suo principale socio commerciale. Come se non bastasse, i meteorologi hanno lanciato un allarme per il passaggio dell’uragano Oscar: il 22 ottobre Díaz-Canel ha dichiarato che la tempesta tropicale ha causato sei morti nell’est del paese. ◆ fr

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1586 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati