L’opera di Han Kang racconta con uno stile lirico le violenze e le ferite inflitte alle persone dagli eventi storici. Due romanzi rappresentativi di questa tematica sono Atti umani (Adelphi 2017), dedicato al massacro di Gwangju, nel sudovest della penisola, commesso nel maggio 1980 dalla giunta militare contro i civili che manifestavano per la democrazia, e Non dico addio (Adelphi 2024), che denuncia un altro massacro avvenuto nel 1948, quando alcuni esponenti della sinistra furono sterminati sull’isola meridionale di Jeju.
Atti umani è un romanzo relativamente breve che però offre un’esperienza di lettura intensa grazie alla densità del racconto. Al centro della storia c’è la morte di Dong-ho, un adolescente di 15 anni ucciso dai militari durante la repressione degli ultimi manifestanti asserragliati nei locali della prefettura di Gwangju.
Ferite aperte
Il romanzo è strutturato in sette capitoli. La trama racconta il sacrificio di Dong-ho, per poi esplorarne le conseguenze. Il senso della vita e della morte del ragazzo è illustrato dalle testimonianze di altre persone che hanno vissuto il massacro, direttamente o indirettamente. Come Jeong-dae, amico di Dong-ho (anche lui ucciso) ed Eun-sook, che insieme a Dong-ho aveva il compito di lavare i cadaveri portati nella palestra.
“Dopo la tua morte non ho potuto tenere un funerale, e così la mia vita è diventata un funerale. Dopo che ti hanno avvolto in un telone cerato e portato via su un camion dell’immondizia. Dopo che getti d’acqua scintillanti sono imperdonabilmente zampillati dalla fontana. Ovunque ardono le luci dei santuari. Nei fiori che sbocciano a primavera, nei fiocchi di neve. Nelle sere che chiudono ogni giorno. Sfavillii di candele bruciano in bottigliette vuote”. Con queste parole Eun-sook, che ha trovato lavoro in una casa editrice dopo essersi ripresa in qualche modo dal trauma, evoca la morte di Dong-ho in un teatro. Lo spettacolo è senza parole, il testo è stato censurato. Ma Eun-sook, che lo conosce a memoria, può recitarlo mentre gli attori muovono le labbra senza proferire parola.
In un altro testo bloccato dalla censura troviamo un passaggio che riassume l’essenza del romanzo: “Cos’è l’uomo? Cosa non deve fare per smettere di esserlo?”.
Non dico addio parla invece delle ferite aperte dagli eventi di Jeju, nel 1948. Il racconto si sviluppa attorno a due giovani donne della stessa età: Gyeong-ha, una scrittrice che ricorda vagamente Han Kang, e Inseon, una documentarista. La prima ha la sensazione di essere tornata in vita dalla morte dopo un periodo sfiancante seguito alla scrittura di un’opera “sul massacro commesso in quella città”. In un sogno, Gyeong-ha cammina nella neve sul pendio di una montagna, poi su una pianura circondata da migliaia di alberi addobbati come lapidi, quando all’improvviso il mare si alza fino ad arrivarle alle ginocchia.
Gyeong-ha è convinta che il sogno, come altri incubi avuti di recente, sia legato al massacro che ha denunciato nel suo romanzo. Così decide di realizzare un video con l’aiuto di Inseon, che però è tornata sull’isola per prendersi cura della madre. Un giorno d’inverno, su richiesta di Inseon, finita in ospedale, Gyeong-ha parte per Jeju: dovrà accudire il pappagallo rimasto solo. Deve sfidare una tempesta di neve per arrivare nella casa di Inseon, dove scopre, in una sorta di allucinazione, la vita della madre dell’amica, sopravvissuta agli eventi del 1948.
In occasione di una conferenza stampa organizzata per la pubblicazione del libro, Han Kang ha dichiarato che Non dico addio è “un romanzo su un amore profondo. All’inizio descrivo un sogno che ho fatto io stessa. Ho scritto quelle pagine nel giugno 2014. Durante la stesura di Atti umani, ma anche dopo la pubblicazione, ho continuato a fare incubi e pensavo che riguardassero tutti Gwangju. Poi ho capito che quei sogni potevano essere lo spunto per un nuovo romanzo”.
Non dico addio è contraddistinto dallo stile poetico di Han Kang. Leggendolo si ha inizialmente l’impressione che Gyeong-ha, a causa della sua somiglianza con l’autrice, sia il personaggio centrale, ma successivamente l’attenzione si sposta verso Inseon, prima di concentrarsi sulla madre della donna, che ha passato la vita a seguire le tracce di suo fratello maggiore, arrestato durante i fatti del 1948 e poi scomparso. Seguendo questa battaglia personale, il lettore scopre cosa portò al massacro di migliaia di civili accusati di essere comunisti poco prima dell’inizio della guerra di Corea, nel 1950, in un contesto segnato dal conflitto tra due schieramenti ideologicamente contrapposti.
Tornata dalla morte
“Non dico addio forma una coppia con Atti umani”, riconosce Han Kang. “Ma è anche collegato ad alcune delle mie opere precedenti, come L’ora di greco (Adelphi 2023), e al mio primo romanzo, Cervo nero. Scrivendo Atti umani mi sono trasformata. Gli incubi e gli interrogativi che mi hanno assalita durante la scrittura del romanzo erano un fardello che credevo di dover portare per il resto della mia vita, ma ho l’impressione di essermi un po’ ristabilita grazie a Non dico addio. Con Atti umani mi ero sentita invasa dagli incubi e dalla morte, Non dico addio mi ha riportata alla vita. Mi ha salvato, credo. Ora che sono tornata dalla morte, il prossimo romanzo sarà diverso”.
Nata nel 1970 a Gwangju, Han Kang ha debuttato nella poesia, per poi dedicarsi alla prosa. Nel 1995, dopo la pubblicazione della raccolta di racconti L’amore di Yeosu, il suo universo segnato da una profonda solitudine e da una disperazione insondabile ha stupito i lettori, anche per la sua giovane età. Queste caratteristiche si ritrovano nella seconda raccolta, Convalescenza (Adelphi 2019). Nella prima fase della sua carriera Han Kang ha pubblicato alcuni romanzi, come Il cervo nero (1998) e Le tue mani fredde (2002).
La consacrazione internazionale è arrivata con il romanzo La vegetariana (Adelphi 2016). Yeong-hye, che un giorno, sempre in seguito a un sogno, decide di smettere di mangiare carne, subisce le violenze fisiche e psicologiche inflitte da suo marito, suo padre e suo cognato. Per sfuggire a questa situazione, la donna preferisce trasformarsi in un albero. Con un tono che a tratti sfiora il fantastico, l’autrice s’interroga sulla natura della violenza. La traduzione inglese di Deborah Smith è valsa all’autrice il Man Booker International Prize, facendone la prima coreana a ottenere il premio.
Il riconoscimento, ricevuto sempre nel 2016, ha fatto decollare definitivamente la carriera internazionale di Han Kang. E adesso è la prima autrice sudcoreana ad aver vinto il premio Nobel per la letteratura. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1585 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati