Io sono una docente di filosofia, e ho sempre pensato per suoni. Una delle caratteristiche distintive del mio processo cognitivo è che non solo penso per suoni e musica, ma quando sono sveglia non penso per immagini (anche se di notte ho sogni vividi e visivi). Questa mancanza d’immagini mentali è conosciuta come afantasia. Unita a un’altra condizione nota come lieve disturbo dell’elaborazione uditiva, mi ha causato spaventose difficoltà nel leggere, nello scrivere e, tristemente, a volte perfino nel parlare. Sono specializzata nel pensiero del filosofo del seicento Baruch Spinoza e mi chiedo spesso cosa avrebbe pensato degli afantasici. Spinoza sapeva che la fantasia – considerata spesso la fonte delle immagini mentali – può potenziare o indebolire la capacità di crescita di una persona. In effetti, io ho completato il mio dottorato solo grazie alla pazienza dei miei insegnanti.
È strano cercare di spiegare agli altri cosa significa l’esperienza di avere una testa vuota anche quando si è svegli. Gli esperti di afantasia parlano di un problema con “l’occhio della mente”. Non sono d’accordo. Non solo la coscienza è irriducibile alla materia cerebrale – le nostre idee non sono oggetti concreti – ma le mie particolarità neurologiche potrebbero spiegare anche i miei rapporti con il pensiero in suoni. Noi umani non siamo fatti solo di parole, come dimostra lo storico della musica, appassionato di jazz ed ex studente di filosofia Ted Gioia nel suo libro Music__: a subversive history (2019). Il libro di Gioia ha dato il ritmo ai miei pensieri sulla musica e il suono. Il punto è: se posso insegnare e lavorare a complessi sistemi filosofici senza l’uso delle immagini nell’occhio della mia mente, allora le immagini della fantasia potrebbero non essere così importanti per il ragionamento come tanti credono. Spinoza forse sarebbe d’accordo: le idee razionali hanno leggi di natura uniche.
Io non riesco a seguire correttamente le regole grammaticali. Però sono in grado d’individuare e imparare facilmente i suoni di quasi tutte le lingue, anche se ricordare le parole è un problema. Questa capacità ha qualcosa a che fare con la memoria, ma è così fin da quando il mio cervello è stato costretto a disporre le parole che sentivo in un linguaggio accettabile per comunicare. Gli esperti di memoria sanno che facendo riferimento al canto e alla storia si può rafforzare la memoria. Gioia conferma la validità di questi aiuti uditivi, sottolineando la storia interculturale del ritmo e del suono dall’inizio della specie umana. Io non sono capace di leggere la musica o di fare matematica di alto livello, ma la musica mi ha sicuramente aiutato a padroneggiare l’Etica di Spinoza, uno dei sistemi logicamente più impegnativi mai concepiti nella filosofia occidentale: un sistema che per me è diventato evidente nella sua bellezza logica e nella sua forza creativa.
Padroneggiare il linguaggio mi mette in difficoltà, ma la musica e il suono possono essermi d’aiuto. Sono avida di esperienze musicali e di avventure del suono, e amo quasi ogni genere di musica, anche se, come tutti, ascolto più spesso alcune delle mie canzoni e dei miei suoni preferiti. Da bambina, guardavo i tasti del pianoforte di mia nonna, insegnando a me stessa il rapporto tra suono e pensiero, soprattutto quando non riuscivo a trovare le parole per esprimermi o per spiegare la mia esperienza. Quando ero molto piccola, sentivo le parole al contrario e le dividevo per sillabe. Forse per questo avevo un linguaggio tutto mio quando ho imparato a parlare. Questo “problema” si corresse in quei primi anni di vita, ma ancora oggi mia nonna, che ha 92 anni, continua a firmare le sue lettere per me con “Baci, nanno”.
Alla mia seconda lezione di piano, a poco più di vent’anni, subito dopo essermi laureata in psicologia e a pochi esami dalla seconda laurea, in filosofia, il mio maestro disse: “Tu hai un talento naturale! Vuoi un pianoforte?”. Mi stava offrendo un piano a mezza coda appartenuto a una comune degli anni sessanta. Dovevo solo portarlo a casa. Ora avevo un piano tutto mio e cercai d’imparare a suonare a orecchio. Ma non so ancora leggere uno spartito, e molti insegnanti di piano non vogliono far lezione a chi non sa leggere la musica.
Questa attenzione alla notazione risale forse all’antico filosofo e matematico greco Pitagora, che cercava di ricavare un metro cadenzato dalla magia e dal potere dei suoni che sentiva: quelli dei fabbri al mercato, della conversazione, dei ciottoli che cadevano (Pitagora una volta mostrò una pietra a uno dei suoi studenti e dichiarò: “Questa è musica ghiacciata”). Prima di Pitagora, osserva Gioia, “le donne avevano un ruolo centrale nella musica, soprattutto nel suonare le percussioni, che abbiamo imparato ad associare agli stati di trance”. Ma con l’entrata in scena di Pitagora, tutto cominciò a ruotare intorno alle sfere più maschili della matematica e del logos (ragione), vale a dire misura e linguaggio, invece che all’aulos (un flauto di canne) e al canto. Come scrive Gioia:
Una volta divenuto dominante, il logos alternò punizione e censura, al punto che quasi tutte le nostre successive narrative consacrate sulla musica, sia la sua storia sia i suoi supporti teorici, sono distorte in qualche misura dai pregiudizi di Pitagora. In altri termini, la stessa prassi della legittimazione è un atto di distorsione.
Questa interferenza con l’immediatezza e con il potere della musica e del suono è in atto ancora oggi. Gioia racconta poi la storia di uno specialista in composizione d’avanguardia, che gli aveva raccontato di essere stato contestato a una conferenza per essersi concentrato su come l’opera “suonava”. “I suoi colleghi avevano ripetuto più volte che avrebbe dovuto ignorare delle considerazioni così banali per guardare invece alle strategie compositive”. Eppure lo scrittore tedesco Eckhart Tolle ha anche osservato che alcuni dei nostri momenti più profondi sono quelli che conosciamo senza averne una descrizione, come le nuove esperienze positive in un luogo dove non siamo mai stati o i piatti deliziosi che non abbiamo mai assaggiato o i suoni e gli strumenti magnifici che non abbiamo mai ascoltato. L’ineffabile e l’imperscrutabile possono colpirci, suscitare emozioni: non tutti i suoni devono o possono avere nomi, eppure noi li percepiamo e al tempo stesso impariamo da loro. Nuove ricerche sulla musica binaurale – dove la frequenza dei suoni è leggermente diversa nelle due orecchie – suggeriscono che questi suoni possono alterare in meglio le onde cerebrali e i nostri processi mentali. Gioia osserva che nel cuore dell’atomo le particelle si muovono a velocità straordinarie, “creando un suono superiore di circa venti ottave alla capacità del nostro udito”.
Insieme al tatto, l’udito è uno dei primi sensi a svilupparsi, molto prima della vista e dell’olfatto. Nell’utero, il feto del bambino sente i battiti del cuore materno e le voci. Sentiamo suoni gentili ma ovattati mentre ci stiamo formando, meno ovattati e più acuti dopo la nascita, sicuramente suoni ovattati e acuti di ogni genere finché siamo vivi, e secondo molte tradizioni spirituali sentiamo la musica più perfetta quando moriamo. Questo è forse un altro motivo per cui suono e ritmo sono forze così universali: sono tra le esperienze fondanti di tutti gli esseri umani. Gioia apre il suo libro sulla musica osservando che, nell’iconografia indù, al momento della creazione Shiva ha in mano un tamburo: un’immagine adatta, considerando che la scienza contemporanea ha chiamato big bang l’inizio dell’Universo.
Ho conservato il mio pianoforte a casa per anni, poi per qualche altro anno in un deposito. Mi aiutava a ricordare e sognare i giorni in cui un grande amore della mia vita suonava per me. Facevamo irruzione nell’auditorium dell’università a mezzanotte e ci precipitavamo sul palcoscenico. Con una lampadina appesa alle travi sopra le nostre teste, mi sdraiavo sotto i tasti, chiudevo gli occhi e sentivo le sue vibrazioni e la sua energia che s’irradiavano nel mio corpo e nella mia mente mentre batteva su quei tasti fino a notte fonda, suonando a memoria pezzi dei Beatles o di Billy Joel.
Spinoza capì il potere dell’immaginazione quando si unisce alla forza delle idee razionali. Insieme, creano quella che potremmo definire una sorta di musica, qualcosa che trascende completamente ogni singola descrizione o l’uso formale del linguaggio. Per Spinoza, la ragione è diversa dalla conoscenza immaginativa, ma il linguaggio risiede nell’immaginazione. Alcuni credono che musica e suono esistano in una sfera separata dalla ragione, io invece credo che possano ulteriormente rafforzare la profondità del pensiero e della riflessione. E, cosa forse ancora più importante, suono e musica si possono sentire a livello emotivo. Per Spinoza, tutte le sensazioni sono parziali e immaginative, e vanno trasformate in conoscenza. Come osserva Gioia, il canto rilascia ossitocina nel cervello e nel corpo, il che a sua volta crea una sensazione di unità e collaborazione con le persone intorno a noi.
Questa dimensione della conoscenza percepita emotivamente può essere un problema per chi preferisce invece misurare e tracciare. Non si può provare quello che sta provando un’altra persona: di solito il modo per misurare l’esperienza di un altro è con il linguaggio, il ragionamento logico e, forse, varie forme di tecnologia, ma questi non sono gli unici sistemi. Se penso per suoni, e perfino se posso solo mandarti un abbraccio virtuale con una canzone – se i suoni agiscono come una sorta di colla per i miei ricordi, o semplicemente riducono la mia ansia dovuta proprio al linguaggio – allora ciò che non si può misurare è ancora di più. Forse si può solo prima provare a livello emotivo e poi legittimare?
Se suoni e musica trascendono il linguaggio e la logica, come possono aiutare qualcuno con qualcosa di complesso come la filosofia? Platone forse ha capito questo paradosso, ma in modo nascosto. Forse ha addirittura scritto la Repubblica in codice usando le idee di Pitagora per nascondere la sua teoria di quanto sono potenti la musica e il suono per gli esseri umani (una cosa che sciamani e certe culture indigene hanno sempre saputo). Citando la ricerca del musicologo J.B. Kennedy, Gioia scrive:
Se si scompongono le 12mila righe della Repubblica di Platone in dodici sezioni di mille righe ciascuna, ciascuna equivalente a una nota su una scala, si troveranno espliciti riferimenti ad armonia, musica, tono e canto che ricorrono a intervalli consonanti perfetti. I temi più cupi, che riguardano la guerra e la morte, affiorano a intervalli dissonanti.
Gioia osserva che perfino Socrate, il maestro di Platone, capiva il valore dei significati nascosti e l’importanza di celare le informazioni per cui si poteva essere uccisi. Non so, però, quanto sia riuscito a mettere in pratica questa consapevolezza: Socrate fu ingiustamente messo a morte per aver dimostrato che la libertà di pensiero è una prerogativa dell’uomo, e che potrebbe essere collegata alla nostra anima, anche in un possibile aldilà. L’idea che suono e ritmo abbiano un rapporto con il respiro e la salute è molto più significativa di quanto molti oggi credano. In L’arte di respirare (Aboca 2021), il giornalista James Nestor sottolinea che la moderna scienza biomedica sta cominciando a verificare antiche pratiche respiratorie ritmiche diffuse in oriente che contribuiscono a una salute decisamente migliore: “Il ritmo respiratorio più efficiente si verifica quando la lunghezza delle respirazioni e il numero totale di respiri rispettano rigorosamente un’inquietante simmetria: 5,5 secondi di inalazione seguiti da 5,5 secondi di esalazione, il che significa quasi esattamente 5,5 respiri al minuto”. Nestor osserva che queste tecniche hanno lo stesso ritmo degli atti di preghiera:
Alcuni dei nostri momenti più profondi sono quelli che conosciamo senza averne una descrizione, come le nuove esperienze positive in un luogo dove non siamo mai stati
Quando i monaci buddisti intonano il loro mantra più popolare, Om mani padme hum, ogni frase pronunciata dura sei secondi. Per il canto tradizionale dell’Om occorrono sei secondi, con una pausa di circa sei secondi per inalare. Anche per cantare il mantra sa ta na ma, una delle tecniche più note dello yoga Kundalini, occorrono circa sei secondi, seguiti da sei secondi per inalare. Giapponesi, africani, hawaiani, nativi americani, buddisti, taoisti, cristiani: tutte queste culture e religioni avevano in qualche modo sviluppato tecniche di preghiera che richiedevano gli stessi schemi di respirazione. E tutte probabilmente godevano dello stesso effetto calmante.
L’idea dell’armonia e del ritmo, musicalmente e fisicamente, è stata oggetto della massima attenzione da parte dei filosofi. Nel terzo libro della Repubblica, Platone è attento a distinguere tra il concetto di linguaggio da una parte e il concetto di armonia e ritmo dall’altra, anche se aveva bisogno di entrambi per articolare meglio il significato dell’anima umana. Sosteneva che per tutte le cose esistono un ritmo, una grazia e un’armonia naturale: “Nella tessitura, nel ricamo, nell’architettura e in ogni tipo di artigianato, anche nella natura, animale e vegetale. In tutto questo c’è grazia o mancanza di grazia”. Vale anche per gli atti al servizio della comunità. Penso spesso che a Platone non si renda abbastanza merito per il suo pensiero orientato alla comunità. Anche se, di nuovo, potrebbe aver mutuato qualcosa dalle culture che l’avevano preceduto. Per il filosofo greco, se i giovani devono dedicarsi alle attività in cui eccellono, aggiungendo i loro talenti naturali, individuali, al patrimonio collettivo, devono anche fare dell’armonia e della grazia “il loro fine costante”. Ma non possono perdersi in cantilene mistiche o melodie tristi. Aristotele pensava che gli aulos avessero un suono disgustoso, e anche Socrate e Platone li disapprovavano.
Possiamo discutere su cosa intenda Platone con il concetto di grazia, e molti lo fanno da migliaia di anni. Ma aveva sicuramente ragione quando individuava il ruolo dell’armonia – del suono e della musica, o come minino del cantare insieme – nel promuovere la coesione e la cooperazione. L’armonia creava perfino un’autentica magia. Come dimostra Gioia, cantare era un’attività collettiva d’importanza vitale per i primi esseri umani, e tale è rimasta per secoli in molte culture sciamaniche, fino al giorno d’oggi. Platone si preoccupava molto per i suonatori di flauto: non potevano parlare mentre suonavano ed era noto che i flauti erano usati da quelli che lui considerava meno istruiti. Ma potrebbe aver capito il suo errore sul letto di morte: in un momento d’ironia che non è sfuggito ai filosofi, e dopo aver scritto e detto tante parole, Platone chiese un suonatore di flauto per accompagnarlo nella morte e forse anche nella vita dell’aldilà.
A onore di Platone, il suo scetticismo nei confronti della musica scaturiva dall’idea che se dobbiamo lavorare per noi stessi e il nostro prossimo in una società democratica, libera, istruita e creativa non possiamo perderci in una trance per tutto il giorno. Platone capiva che la musica e il suono avevano il potere di trasformare gli umani e suscitare emozioni profonde, desiderava che i grandi poeti e i grandi artisti creassero certi ritmi e certi suoni per tempi di guerra, e altri canti per tempi di pace.
La musica, poi, può essere una forma di cura. Il neurologo Oliver Sacks ha studiato i fenomeni della musica e del suono, riuscendo a far emergere ricordi apparentemente perduti nei suoi pazienti. In Musicofilia (Adelphi 2010), Sacks scrive che con i malati di demenza la terapia musicale “è possibile perché la percezione musicale, la sensibilità musicale, l’emozione musicale e la memoria musicale possono sopravvivere molto tempo dopo la scomparsa di altre forme di memoria. Una musica del giusto tipo può servire a orientare e ancorare un paziente quando quasi tutto il resto fallisce”.
Queste proprietà terapeutiche valgono anche per il nostro corpo. Il neurochirurgo Bernie Siegel metteva spesso della musica per i suoi pazienti in camera operatoria. Mentre erano sotto anestesia, Siegel mormorava al loro orecchio che potevano rilassarsi, godersi la loro musica o i loro suoni preferiti. Nel frattempo, lui sarebbe stato contento se avessero sanguinato poco durante l’operazione. Con grande sorpresa dei suoi colleghi, questo metodo sembrava funzionare: stando a Siegel, i suoi pazienti si riprendevano in modo straordinario in brevissimo tempo, e durante l’operazione sanguinavano molto meno della media. Effetti misurabili che seguono idee metafisiche.
Durante tutta la pandemia del covid-19 mi sono resa conto di quanto abbiamo bisogno dei nostri suoni preferiti: suoni che consolano, suoni che guariscono; i suoni dei tifosi, i suoni degli innamorati, degli amici, della famiglia; i suoni dei nostri animali, della natura. È anche così che il suono ci cura. È sia individuale sia comunitario, un collettivo di suoni individuali. Il suono comprende il ritmo, e il ritmo è questione di tempo.
Il filosofo Thomas Nail ha elaborato una nuova ontologia filosofica, una teoria di cosa significa “essere”. In Being and motion (Essere e movimento), del 2018, si rifà all’antica filosofia di Lucrezio, il quale sosteneva che tutta la natura (spazio e tempo compresi) è composta di flussi, ostacoli e campi, cioè ordini entropici e processi di sviluppo sempre in movimento. Quando vuoi misurare qualcosa, hai bisogno di spazio e di tempo per farlo. Ma come sostiene convincentemente Nail, queste pratiche non sarebbero possibili se flussi, ostacoli, campi di moto e il movimento stesso non fossero già in gioco. La coscienza non smette mai di muoversi.
E così, se alcune parole per me possono essere inutili, il movimento e la musica non lo sono mai. Se per certi filosofi il movimento viene prima, allora i nostri corpi, almeno secondo Gioia e Nail, sono stati i primi strumenti dei primi esseri umani, centinaia di migliaia di anni fa. “I suoni cinetici non sono emersi dal nulla nel corpo parlante, sono stati raccolti altrove”, scrive Nail. “Tutti i fonemi umani esistevano già nei suoni della natura e degli animali prima che l’orecchio umano li udisse”.
Sicuramente oggi abbiamo un gran bisogno di essere curati. Gli esperti di arteterapia, per non parlare dei musicisti e dei musicoterapeuti, hanno una comprensione articolata di come la musica e il suono possano dare sollievo e rigenerare il corpo e la mente. Ricordate che, in filosofia, la mente non è il cervello. Il suono può servire a stimolare anche gli altri sensi, provocando tra l’altro immagini e sensazioni di certi profumi e colori, come per la sinestesia. Il suono è anche una questione di vibrazioni e la musica è un fatto di energia. Come disse negli anni quaranta l’inventore Nikola Tesla: “Se desideri capire l’universo, pensa in termini di energia, frequenza e vibrazioni”.
Che sensazioni ci daranno i nuovi suoni del nostro mondo, mi chiedo? Gioia scrive: “Ogni grande cambiamento nella tecnologia cambia il modo di cantare”. Cosa forse ancora più importante, se le autorità non interferiscono “la musica tende a espandere l’autonomia personale e la libertà umana”.
Lascerò presto il mondo universitario dopo una quindicina d’anni d’insegnamento. Mi mancheranno terribilmente gli studenti e la classe, ma ho bisogno di una pausa da tutte le parole controllate e dalle figure che rappresentano l’autorità sullo sfondo. Sono stata “a scuola” dal 1994, con qualche interruzione. Il mio modo di scrivere è migliorato, ma non molto. Leggere per me è ancora molto impegnativo, eppure lo faccio quotidianamente. E parlare? Dipende dalle persone con cui sto parlando e da come mi sento quando sono con loro. Adesso ho nuove note da suonare. Ho dato il mio piccolo contributo alla storia della filosofia, spesso grazie agli amorevoli battiti del cuore e alle idee che ho condiviso con altri.
Come compagni di viaggio nell’equilibrio delle nostre anime, noi umani possiamo sforzarci di mantenere la tutela artistica e scientifica sulla verità, la bellezza e la bontà. Ma la natura è molto più di quanto gli uomini possano tutelare, nominare o definire. Come canta Gioia: “La musica è sempre più delle note. È fatta di suoni. Confondere le due cose non è questione da poco: la musica non succede nel cervello. La musica avviene nel mondo. Le canzoni possiedono ancora una magia, perfino per chi ha dimenticato come affidarsi a loro”. Presto! ◆ gc
Christina Rawls è una professoressa di filosofia. Ha insegnato alla Roger Williams university di Bristol, Rhode Island, negli Stati Uniti. Questo articolo è uscito su Aeon con il titolo A philosophy of sound.
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Questo articolo è uscito sul numero 1435 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati