Parlando di problemi relativi alla popolazione mondiale, la prima cosa che viene in mente è l’aumento del numero di persone – attualmente circa otto miliardi – e il loro impatto sul pianeta. Man mano che i paesi diventano più ricchi e i loro abitanti fanno meno figli, però, il vero problema rischia di essere il calo demografico.
A partire dalle attuali tendenze, i demografi hanno previsto che nel giro di circa 25 anni in tre quarti degli stati la natalità sarà troppo bassa per mantenere stabile la popolazione. Se per l’ambiente è un’ottima notizia, avere meno cittadini in età lavorativa e più anziani è un’enorme sfida economica. Le ultime previsioni indicano anche un netto contrasto tra i paesi a bassa natalità e a reddito mediamente alto – come la maggior parte di quelli europei – e un gruppo più piccolo di paesi, soprattutto africani, con un tasso di natalità alto e un reddito basso. “Assisteremo a un cambiamento sociale sconvolgente”, dice il ricercatore Stein Emil Vollset della University of Washington a Seattle. “Il mondo dovrà affrontare contemporaneamente un boom delle nascite in certi paesi e un crollo demografico in altri”. Preservare la stabilità economica e sociale sarà una delle principali sfide del secolo. Quindi cosa dovrebbero fare i governi per prepararsi?
Cambio di prospettiva
Anche se l’aumento della popolazione suscita da tempo preoccupazioni per le sue conseguenze ambientali, i demografi sapevano che non sarebbe durato all’infinito. Le stime variano, ma la popolazione dovrebbe raggiungere il picco tra il 2060 e il 2080 a circa dieci miliardi di individui per poi cominciare a calare.
L’andamento previsto dal gruppo di Vollset è in linea con le stime precedenti. La novità è l’analisi dettagliata paese per paese, che si basa sulla proiezione al 2100 dei dati più recenti sui tassi di fecondità di persone tra i 10 e i 54 anni divise per cinque fasce d’età. Di norma per mantenere una popolazione costante ogni donna dovrebbe avere 2,1 figli. Il team di Vollset ha scoperto che nel 2050 il tasso di fecondità sarà sotto questa soglia nel 76 per cento dei paesi, e nel 2100 potrebbero essere il 97 per cento.
Dato che le persone vivono più a lungo, in proporzione ci saranno meno individui in età lavorativa capaci di mantenere gli anziani e le altre categorie economicamente inattive. L’invecchiamento della popolazione è inevitabile, ma secondo Vegard Skirbekk, dell’Istituto norvegese di sanità pubblica, i paesi ad alto reddito potrebbero rallentare il calo della natalità rendendo più facile avere figli, per esempio migliorando l’accesso agli alloggi e ai trattamenti per la fertilità.
Dovrebbero anche pianificare la gestione di popolazioni più piccole e anziane costruendo altri ospedali, adeguando i trasporti e riducendo le scuole, dice Melinda Mills dell’università di Oxford. “Le città si concentrano sui collegamenti con le scuole e i posti di lavoro, ma forse dovranno pensare a portare le persone nei negozi e in ospedale”, aggiunge.
Per Jennifer Sciubba del Wilson center di Washington, le aziende dovrebbero rendere più facile a chi ha una certa età lavorare più a lungo, magari con orario ridotto. “Abbiamo una concezione binaria per cui o si lavora o non si lavora, ma non dev’essere per forza così”, dice.
Una minoranza di paesi, invece, avrà il problema opposto, cioè un tasso di fecondità superiore a 2,1 figli per donna. Secondo lo studio potrebbe essere ancora così nel 2100. Questi paesi si concentreranno nell’Africa subsahariana, ed entro la fine del secolo saranno responsabili della metà delle nascite.
È dimostrato che un migliore accesso alla contraccezione e all’istruzione delle ragazze può ridurre la natalità, spiega Sciubba. È probabile che la migrazione dai paesi ad alta natalità e a basso reddito prosegua, e secondo gli autori dello studio questo potrebbe portare quelli più ricchi a competere per accaparrarsi chi viene dall’Africa subsahariana. “Ma un approccio simile funzionerà solo se cambierà l’atteggiamento dell’opinione pubblica e della politica nei confronti dell’immigrazione”, concludono. ◆ sdf
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Questo articolo è uscito sul numero 1556 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati