Mio figlio di quattordici anni è un ragazzo solo. Dopo aver tentato di tutto (feste, teatro, basket) ho mollato. Mi dicono che se lui è felice lo devo lasciare stare, ma mi dispiace vederlo buttato sul divano.
Al liceo ha trovato compagni affiatati, ma dopo la scuola si chiude in casa. Desidero aiutarlo, ma un po’ vorrei che si arrangiasse da solo.–Stefi
Un compagno con cui studiavo all’università mi ha detto che lui non aveva bisogno di amici. Mi ha raccontato che durante il liceo questa cosa l’aveva fatto sentire molto inadeguato e quindi si era sforzato di chiamare ogni tanto qualcuno e organizzare qualcosa. Non gli andava di farlo ma si sentiva in colpa e quindi lo faceva. Viviamo in una società in cui avere una ricca socializzazione è considerato, giustamente, un valore. Ma, per fortuna, stiamo anche imparando a rispettare sempre meglio i diversi modi di essere. Alcune persone hanno una capienza di socialità minore rispetto ad altre e le interazioni che hanno a scuola o al lavoro bastano a soddisfarle. Una volta stabilito, anche con l’aiuto di uno psicoterapeuta se tuo figlio ne ha voglia, che la scarsa socializzazione non deriva da problemi come per esempio bullismo o depressione bisogna cominciare a considerare che forse lui è fatto così. Oggi quel mio compagno di università è sposato e ha due figli, di cui va matto. E continua ad avere pochissimi amici. Uno o due persone a cui si è affezionato negli anni e che vede ogni tanto, senza esagerare.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1463 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati