Quando sentono aria di cattive notizie, i politici usano uno stratagemma: mettono le mani avanti minimizzando il problema. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ne ha appena dato una dimostrazione. I dati sull’inflazione di novembre “non riflettono la realtà attuale né il calo dei prezzi previsto nelle prossime settimane e nei prossimi mesi”, ha detto il 9 dicembre, prima che i dati fossero pubblicati. Biden si riferiva alla benzina e al gas, ma anche ai prezzi elevati delle auto usate. Quanto fosse necessario il tentativo del presidente di rasserenare gli animi si è visto il giorno successivo, quando i numeri sono finalmente arrivati sul tavolo: a novembre i prezzi al consumo negli Stati Uniti sono aumentati del 6,8 per cento rispetto allo stesso mese del 2020. L’inflazione non toccava simili vette da quarant’anni, da quella lontana stagione della guerra fredda in cui alla Casa Bianca c’era Ronald Reagan. In altre parole, la metà degli statunitensi non ha mai sperimentato un’inflazione così alta.
Si può ovviamente sostenere che la frustrazione di Biden sia in parte giustificata. I dati di novembre non prendono in considerazione le ultime variazioni dei prezzi ai distributori di benzina e nei supermercati. Ma è vero anche il contrario: molti dei problemi che hanno contribuito al ritorno dell’inflazione persistono e in alcuni casi, per esempio nel settore immobiliare, sono addirittura peggiorati. La maggior parte degli esperti, infatti, ritiene che la pressione inflazionistica non diminuirà in modo significativo almeno fino alla metà del 2022, se mai dovesse calare.
Biden, però, non ha tutto questo tempo. Le elezioni di metà mandato per rinnovare parzialmente il congresso sono previste tra meno di undici mesi e alcuni segnali indicano che i democratici potrebbero perdere la maggioranza sia al senato sia alla camera dei rappresentanti. Per il presidente sarebbe una vera catastrofe politica.
Per questo il governo statunitense lavora da settimane a una strategia per abbassare i prezzi. Biden ha chiesto ai principali porti della California, dove le navi portacontainer provenienti dalla Cina e da altri paesi asiatici sono ferme da mesi, di diventare operativi 24 ore su 24. Inoltre ha incaricato la Federal trade commission, l’autorità garante della concorrenza, di verificare se le aziende petrolifere si stiano arricchendo a spese dei cittadini. La segretaria al tesoro Janet Yellen ha chiesto ai principali produttori statunitensi di semiconduttori di risolvere la carenza di processori che ha messo in difficoltà molte aziende.
L’attacco dei repubblicani
Finora la Casa Bianca non ha ottenuto grandi risultati. Neanche il lieve calo dei prezzi della benzina dipende dal presidente. La responsabilità è della variante omicron del virus sars-cov-2, che sta mettendo a rischio la ripresa. Intanto i repubblicani sfruttano i dati sull’inflazione per attaccare Biden. Tra le altre cose dicono che il piano miliardario voluto dal presidente per affrontare la pandemia, rilanciare le infrastrutture e finanziare misure sociali ed ecologiche avrebbe alimentato i consumi e di conseguenza fatto salire i prezzi. L’analisi non è del tutto sbagliata, ma trascura il motivo principale di questa crisi: molte aziende non sono ancora tornate a produrre e a consegnare merci a una velocità sufficiente per stare al passo con la domanda. In Asia diverse fabbriche sono ancora chiuse e mancano i semilavorati; non ci sono lavoratori portuali e camionisti a sufficienza per scaricare e trasportare le merci. In assenza di auto nuove, inoltre, le auto usate costano il 150 per cento in più rispetto a un anno fa.
La situazione è talmente drammatica che la Federal reserve (Fed, la banca centrale degli Stati Uniti) vuole ridurre i suoi programmi di sostegno all’economia molto prima del previsto. Già nella primavera del 2022 ci potrebbe essere un rialzo dei tassi d’interesse, e sarebbe il primo dal 2018. Per Biden si tratterebbe di una notizia ambivalente: positiva per la lotta all’inflazione, negativa per l’economia, e quindi anche per il futuro elettorale del Partito democratico. ◆ nv
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Questo articolo è uscito sul numero 1440 di Internazionale, a pagina 108. Compra questo numero | Abbonati