Cultura Suoni
Talk memory
BadBadNotGood (Jamal Burger)

Nel 2011 i BadBadNotGood diventarono famosi dal giorno alla notte con i video virali in cui rifacevano canzoni degli Odd Future, un collettivo hip hop di Los Angeles. L’approccio distaccato e variegato conquistò i cuori e le menti non solo degli appassionati di jazz e hip hop, ma anche di quelli di musica alternativa. Il quinto album della band canadese arriva a cinque anni dal fortunato IV; nei due anni successivi i BadBadNotGood sono stati in tour e hanno collaborato con Kendrick Lamar. Inoltre il tastierista Matt Tavares, uno dei fondatori, se n’è andato. Questi cambiamenti hanno preparato un ritorno in studio pieno di ambizioni. Talk memory è un’opera grandiosa, dove la band allenta un po’ il controllo del ritmo – una conseguenza della loro passione per l’hip hop – e si abbandona a uno stile più libero, mostrando i virtuosismi di cui è capace. L’inclusione dell’arpista Brandee Younger nel pezzo che dà il titolo al lavoro evidenzia il legame con lo spiritual jazz, viste le collaborazioni del collettivo con Pharoah Sanders e Ravi Coltrane. Sono momenti che dimostrano quanto il gruppo si sia evoluto negli ultimi dieci anni. Talk memory proietta i BadBadNotGood in una nuova eccitante direzione.

Tom Morgan, PopMatters

Friends that break your heart

Le perdite più difficili che affrontiamo – alcune delle quali sono abbastanza forti da eclissare la fine delle storie d’amore più importanti – sono quelle in cui finisce un’amicizia. Non è un tema molto analizzato nella musica mainstream. Tuttavia, il quinto album in studio del cantautore e produttore James Blake lo analizza a fondo. A differenza della gioiosa scoperta di sé del disco precedente, Assume form, dove le sue ferite venivano in qualche modo guarite grazie alle meraviglie dell’amore, stavolta Blake si ritrova a sguazzare nel dolore. Usa ancora i suoi tipici trucchi, ma abbraccia strutture più semplici e il linguaggio dell’rnb elettronico. L’album comincia con il brano Famous last words, che riassume i temi principali del lavoro, ritraendo Blake come esasperato e ferito. Su un tappeto di sintetizzatori minacciosi, Blake si lamenta per come “avrebbe dovuto lasciar perdere” qualcuno con cui aveva un rapporto tossico. Friends that break your heart è James Blake nella sua versione più essenziale e potrebbe anche essere considerato il suo album più accessibile di sempre. Per alcuni potrebbe sembrare un po’ troppo lontano dall’elettronica più sperimentale degli esordi, eppure Blake ha trovato un modo brillante per essere ancora non convenzionale e al tempo stesso accessibile.
Jt Early, Beats per Minute

Geist
Shannon Lay (Kai MacKnight)

Geist è il quarto disco della cantautrice di Los Angeles Shannon Lay e il suo secondo per la Sub Pop. Questi brani, tutti a base di chitarra e voce, sono stati registrati insieme a un gruppo di musicisti come Ben Boye, collaboratore di Ty Segall, e Devin Hoff, già al lavoro con Sharon Van Etten. La voce di Lay scorre pacatamente in mezzo a chitarre suonate con il fingerpicking. Tutto risplende di un meraviglioso calore e di una forza d’animo sottile, generando quell’intimità che si sente solo nella musica folk ben eseguita. Sure è un valzer nello spirito di Nick Drake, arricchito con pianoforte e archi, e Shores regala un succinto assolo di chitarra simile a una tromba, suonato proprio da Ty Segall. Awaken and allow, in gran parte a cappella, è circondata da un celestiale alone di riverbero, mentre la cadenza della melodia e i bordoni sul finale le conferiscono il sapore di un inno celtico. Il tema centrale del disco però affiora quasi subito nel brano A thread to find. “You’re on your own but not alone”, sei isolata ma non sei sola, canta Lay. Questo è lo spirito che anima tutto Geist: bisogna trovare la forza interiore attraverso la solitudine, ma anche grazie al conforto degli altri.

Tim Clarke, Dusted Magazine

Kapustin: pezzi per piano

Le migliori esecuzioni dei lavori di Nikolaj Kapustin (1937-2020) più influenzati dal jazz sono di quei rari pianisti che hanno una tecnica trascendentale e una sensibilità che gli permette di tenere il tempo con elasticità. La coreana Yeol Eum Son è una di loro. Negli studi da concerto op. 40 ha una velocità e uno swing che fanno pensare a Oscar Peterson. Nell’apertura delle variazioni op. 41 ha un passo che ricorda lo stile di Erroll Garner. E attraversa senza paura anche il divertente, esagerato perpetuum mobile finale della seconda sonata. Questa è una bellissima aggiunta alla discografia di Kapustin.

Jed Distler, ClassicsToday

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1431 - 15 ottobre 2021

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