Cultura Schermi
Eternals
Angelina Jolie, Gemma Chan, Salma Hayek, Richard Madden, Kit Harington
Stati Uniti / Regno Unito 2021, 157’. In sala
Eternals (dr)

Durante i settemila anni trascorsi sulla Terra gli Eternals non hanno mai interferito con la nostra civiltà, a meno che Arishem, colossale entità che manipola tutta l’energia dell’universo, non gli abbia detto di farlo. Nel nuovo film Marvel, Chloé Zhao tratta questi titani – i cui poteri trascendono quelli dei soliti supereroi – come fossero normali esseri umani. Un’inquadratura alla volta, estrae dal gruppo una commovente umanità. Nelle mani della regista premio Oscar, il loro racconto non segue i temi tipici Marvel, come per esempio il peso di essere superpotenti, ma indaga la natura dei legami eterni ponendosi una domanda universale: quando entri in conflitto con coloro che ami, lo affronti o cerchi di eluderlo? All’inizio del film gli Eternals sono sparsi per il pianeta. Alcuni vivono in mezzo alla società, altri si sono isolati. Una di loro, Sersi (Gemma Chan), viene a sapere che i Deviants, mostri che i nostri eroi hanno cacciato dalla Terra nella notte dei tempi, sono tornati. Rimette insieme il gruppo ma alcuni di loro non condividono il suo piano. Su questo disaccordo interno, sul delicato studio dei personaggi da parte di Zhao è costruita la tensione del film. Niente orde di alieni, nessuna città devastata. Il colpo più forte sferrato dal film non è un pugno, ma un singolo sguardo che si scambiano due degli eroi. Solo Zhao poteva riuscire a fare qualcosa di simile. Shirley Li, The Atlantic

La scelta di Anne. L’événement
Anamaria Vartolomei
Francia 2021, 100’. In sala

Il film di Audrey Diwan, classe 1980, parla di aborto, un argomento che, con una nuova legge in Texas che riduce notevolmente i diritti delle donne, suona attuale. Ma al di là di questo L’événement, tratto dal romanzo di Annie Ernaux L’evento (L’Orma 2019) e vincitore del Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia, ha la forma semplice e radicale di un diario filmato, con inquadrature serrate sulla protagonista. Roba da grandi film, se l’interprete è eccellente, come in effetti è Anamaria Vartolomei. La giovane attrice veste i panni di Anne, studente di lettere di origini modeste che si ritrova incinta e vuole interrompere la gravidanza, all’inizio degli anni sessanta, quando l’aborto in Francia era ancora illegale. Non sa a chi rivolgersi e neanche con chi parlare. È costretta a inghiottire il suo dolore, in silenzio. Travolgente. Con la camera piazzata alle sue spalle non vediamo Anne, soffriamo insieme a lei. Clarisse Fabre, Le Monde

Ultima notte a Soho
Anya Taylor-Joy, Thomasin McKenzie, Matt Smith
Regno Unito 2021, 116’. In sala
Ultima notte a Soho (dr)

A volte un film rappresenta chiaramente lo sforzo di un regista di dire qualcosa, di inviare un messaggio proverbiale. In Ultima notte a Soho di Edgar Wright, il messaggio è confuso nel transito tra la presunzione epigrammatica del film e la sua forma cinematografica. Ha la forma di un classico racconto di formazione. La giovane di provincia Eloise Turner (Thomasin McKenzie) arriva nella grande metropoli per realizzare i suoi sogni ma finisce per perdere le sue illusioni. La sceneggiatura (che Wright ha scritto insieme a Krysty Wilson-Cairns) espande questo concetto in una storia sociale che si fonde con i tropi dei film horror per rivelare una stravaganza di incubi soffocati che Eloise dovrà affrontare per avere successo. La forma imposta alle valide idee del film finisce per soffocare una loro espressione chiara e ponderata. Appassionata di moda, Eloise vive nel mito della Swinging London degli anni sessanta, un mito alimentato dalla nonna, anche se proprio quel contesto spinse la madre di Eloise al suicidio. Una complicata serie di incastri tra realtà e sogno trasforma la vita di Eloise, che si ritrova proprio a Londra negli anni sessanta, aspirante cantante, costretta ad affrontare la mostruosa misoginia che conobbe anche sua madre. Gli aspetti più affascinanti di Ultima notte a Soho riguardano proprio la storia familiare di Eloise, la convergenza di eredità culturali e personali attraverso le generazioni. Ma il film lascia queste connessioni inespresse e le tratta superficialmente. Invece che fondere sostanza e stile, sacrifica la prima al secondo, anche se Wright non è uno “stilista” del calibro di Wes Anderson o Sofia Coppola. Richard Brody, The New Yorker

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1434 - 5 novembre 2021
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