Cultura, numero 1436
Per quattrocento anni, gli africani sono stati schiavizzati dagli europei. Nel suo nuovo romanzo Bernardine Evaristo ha capovolto la storia. Immagina cioè che siano stati gli africani a schiavizzare gli europei, e in particolare una spiritosa ragazzina inglese, Doris Scagglethorpe. L’impero è il Regno Unito della Grande Ambossa. Nelle mani di Evaristo, la storia diventa plastilina. Doris, undici anni, è catturata mentre gioca a nascondino con le sue sorelle. È messa in catene e si ritrova nella stiva di una nave di schiavi, dove sperimenta l’oscurità e le malattie, gli stupri e i suicidi, le punizioni feroci per la debolezza o per la rivolta, e la sensazione di giacere per giorni accanto a un cadavere. Comincia la sua nuova vita come amante e compagna di giochi di un viziato ragazzo ambossano che le insegna a leggere e scrivere, poi è assegnata come assistente personale, “parrucchiera di casa”, al boss dell’import-export Kaga Konata Katamba I, detto KKK. Lavora dodici ore al giorno, non pagate, con straordinari quando necessario. È richiesta al lettore una notevole sospensione dell’incredulità, ma una delle cose migliori di questo libro è il suo umorismo agrodolce e impertinente. Evaristo ha portato la storia nello zeitgeist contemporaneo. In queste pagine non c’è solo un’immaginazione esuberante e iperattiva che chiede: “Cosa sarebbe successo se…?”, ma un cuore africano non guarito che domanda: “Come ci si sente?”.
Diana Evans, Independent
Ambientato in Australia, dove lo stesso Adiga ha trascorso gli ultimi anni del liceo, Amnistia racconta la storia di Danny, uno srilanchese che è diventato un “immigrato illegale” dopo aver abbandonato il suo college truffaldino. A sorpresa, è contento di pulire appartamenti nella periferia di Sydney, almeno fino a quando uno dei suoi clienti viene ucciso. Nelle ventiquattr’ore che seguono, Danny affronta il dilemma se rischiare l’espulsione informando la polizia. Amnistia mette a nudo le ipocrisie e le contraddizioni dell’Australia. L’immigrazione sostiene l’economia ma è soggetta alle restrizioni più draconiane dell’occidente, di cui il paese sostiene di far parte contro ogni evidenza geografica. Ma a dispetto, o forse a causa, di leggi che mirano a preservare l’omogeneità etnica, l’Australia è un melting pot. Amnistia è una veduta dall’alto, e ci mostra come i migranti imparano a leggere i segni dello strano nuovo mondo e a elaborare delle tassonomie per decifrarne il senso. Ci sono acute intuizioni sociologiche nel romanzo, ma manca un po’ di penetrazione psicologica e di mestiere stilistico.
Tanjil Rashid, The Guardian
Una laurea non ha mai fatto male a nessuno. Soprattutto non a uno che governa un piccolo impero di piccoli bordelli, come Arnold “Arnie” Kraushaar. In realtà, ora che è vecchio potrebbe prendersela comoda, ma ha deciso di tornare all’università. Studia diritto fiscale, analisi di mercato, strategie di business. Arnie è uno dei tanti personaggi di un romanzo che ci porta in profondità nei mondi dei lavoratori e delle lavoratrici del sesso. Un imprenditore, non un “pappone”. È tutta una questione di definizioni, e nel periodo che Meyer illumina nel suo opus magnum sul mercato e la moralità nell’industria del sesso, le vecchie definizioni si stanno dissolvendo. Siamo nei primi anni novanta: dall’Europa dell’est, le lavoratrici del sesso si riversano in Germania orientale; dalla Germania occidentale, arrivano vecchi papponi in Ferrari carichi di idee. È un settore gigantesco quello raccontato da Meyer in un seducente coro di voci, perfidamente orchestrato, nella penombra di una delle industrie più potenti della Germania.
Christian Buß, Der Spiegel