Cultura, numero 1442
Dieci amori
Ad assumere la protagonista per dare lezioni di francese alla figlia, all’ultimo piano di un edificio in un quartiere di Tokyo in ristrutturazione, è una signora che si chiama Ogawa. Che sia un omaggio? In effetti, si pensa spesso alle storie di Yoko Ogawa leggendo questo secondo romanzo di Élisa Shua Dusapin. Cos’hanno in comune la grande autrice giapponese e questa giovane scrittrice franco-coreana che vive in Svizzera? Lo stesso senso dell’irruzione dell’estraneità nelle situazioni più banali, la stessa arte della follia inquietante sul punto di uscire dai binari, la stessa attenzione alla chiaroveggenza dell’infanzia di fronte agli adulti in declino. La ginevrina Claire è in visita dai suoi nonni coreani a Tokyo e deve insegnare a una ragazza giapponese la lingua che ha potuto imparare da sua madre, un’insegnante di francese. Il libro scava in questo cumulo di identità traballanti come in un mucchio di sabbia fine. Le radici di ogni personaggio sono fragili, sul punto di inaridirsi, e si abbeverano di miraggi. Un po’ come nel pachinko menzionato nel titolo, un gioco che consiste nel guardare delle biglie di metallo cadere attraverso un flipper verticale in uno schianto assordante e ipnotizzante. La crisi d’identità rende tutti fluttuanti e disorientati, e questo porta il libro al limite del soprannaturale. Escursioni nauseabonde in ridicoli parchi divertimento, viaggi senza meta su linee circolari della metropolitana, passeggiate sotto la pioggia tra pubblicità asfissianti: ogni esistenza è governata dall’assurdo in questo romanzo insolito e potente.
Marine Landrot, Télérama
In Una famiglia come tante Sylvie Schenk scandaglia le profondità psicologiche di una famiglia allargata francese. Il suo tono è ambivalente: “Una famiglia è una culla, una prigione, un armadio dei veleni, è un rifugio. Niente è reale. Non si può fare affidamento su nulla”. Visto in questa luce, il clan dei fratelli Cardin è in effetti una famiglia terribilmente ordinaria, con una quantità media di disgrazie e di segreti nascosti sotto la superficie. L’autrice usa come gancio drammaturgico un evento con il massimo potenziale di conflitto: una disputa sull’eredità. Céline, la protagonista, una donna sulla sessantina, è in viaggio verso la sua vecchia casa per il funerale di zia Tamara e zio Simon. È l’intellettuale dei quattro fratelli Cardin e ha lasciato presto il suo villaggio natale nelle Alpi francesi per sposare un tedesco. Al servizio funebre rivedrà la famiglia dopo anni. La zia e lo zio sono morti anziani e senza figli a tre ore di distanza l’uno dall’altro. Hanno lasciato una fortuna enorme e due testamenti. Avevano nominato i nipoti come eredi in parti uguali, ma poiché uno degli originali è scomparso, l’intera eredità ricadrebbe ora legalmente sul parente più prossimo di Tamara: Bernard e la madre di 87 anni, Catherine. In breve: un pasticcio che ravviva le vecchie linee di conflitto già nella camera ardente. Il romanzo racconta gli eventi e gli incontri di questa giornata, e attraverso dei flashback ricostruisce un’intera epopea familiare. Il ritratto di Schenk ha tratti di critica sociale, ma il focus narrativo è sulle relazioni tra fratelli e sorelle, disegnate con sorprendente precisione. Una famiglia come tante è un romanzo intelligente, malvagio, amorevole, ironico e di rara onestà.
Melanie Weidemüller, Deutschlandfunk
Nel 2007 un soldato canadese di stanza a Kandahar inviò una lettera alla rivista Maclean’s in cui si complimentava con la redazione per aver trovato una nuova ragazza pin-up per lui e i suoi commilitoni. Stava parlando di una giovane donna di bell’aspetto che si fingeva studente per il numero annuale della rivista sulle classifiche universitarie. La giovane donna, Kinga Ilyes, divenne nota come “l’amata di Kandahar”. Il soldato, il sergente Christos Karigiannis, purtroppo morì poco dopo aver scritto la lettera. La storia ha ispirato il romanzo breve di Felicia Mihali. Mihali immagina una breve corrispondenza via email tra il soldato che chiama Yannis e l’amata Irina. Entrambi immigrati a Montréal, non flirtano né rivelano nulla di personale, ma piuttosto discutono di religione, di politica in patria e all’estero, e della vita quotidiana in Afghanistan. Irina non lascia intendere che si è completamente innamorata di lui. Ha avuto due fidanzati, ma nessuno ha catturato la sua attenzione come Yannis. La relazione si conclude nella mente di Irina con l’idea che dichiarare il suo amore a Yannis avrebbe dato al soldato una ragione per sopravvivere alla guerra. Dopo la morte di Yannis, la sua fama svanisce, così come il suo desiderio di trovare un nuovo amore.
Carla Lucchetta,
The Globe and Mail
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