Cultura Suoni
Dragon new warm mountain I believe in you
Big Thief (Alexa Viscius)

Prodotto dal batterista James Krivchenia, il nuovo album dei Big Thief è stato registrato in quattro località diverse: nello stato di New York, nel Topanga Canyon, sulle Montagne rocciose e a Tucson, in Arizona. Con un’enfasi sulla libertà e l’esplorazione, la band ha realizzato le registrazioni migliori quasi per caso. Per esempio sulle Montagne rocciose, mentre il gruppo si esercitava per la prima volta sul brano Change, l’ingegnere del suono Dom Monks ha registrato di nascosto le prove e si è reso conto che il pezzo era già perfetto così. Nei boschi dello stato di New York un temporale ha fatto andare via l’elettricità dello studio per diversi giorni. Ma quando la leader della band Adrianne Lenker e il chitarrista Buck Meek hanno finito di scrivere Certainty, hanno deciso di andare avanti lo stesso: la band ha registrato la canzone in acustico su un registratore a cassette a quattre tracce alimentato dal loro minivan, con il basso di Max Oleartchik che passava attraverso un altoparlante bluetooth. Lo spirito di sperimentazione non si ferma qui. Se l’etereo folk dell’album U.F.O.F. e l’indie rock polveroso di Two hands erano due estremità dello spettro sonoro dei Big Thief, Dragon new warm mountain I believe in you si muove su un asse completamente nuovo. La band opta per una produzione lofi e spettrale in Blurred view, esegue un assolo di flauto in No reason e mescola sintetizzatore e chitarra acustica per creare Time escaping. Il punto più alto dell’album, e forse della carriera della band fino a oggi, è Little things. A un certo punto, sembra che la canzone resti sospesa nell’aria, ma all’improvviso le chitarre si alzano ed entra la batteria, riportando tutto nell’orbita poetica e caotica della band.
Ethan Shanfeld, Variety

Ants from up there
Black Country, New Road (rosie foster)

Essere definiti “la migliore band emergente del Regno Unito” non ha lo stesso peso di una volta, ma un po’ di pressione te la mette. I Black Country, New Road hanno scelto d’ignorarla. Alla fine di luglio si sono ritrovati nei Chale Abbey studios all’Isola di Wight, per registrare delle nuove canzoni appena 364 giorni dopo il loro debutto, forse per evitare la sindrome del secondo album. Ma c’è il sospetto che per questo settetto di Londra – da pochi giorni orfano del suo leader Isaac Wood, che ha lasciato il gruppo per problemi di salute mentale – volesse soprattutto evitare la noia. Ants from up there non accetta compromessi. Le canzoni, anche se musicalmente più sicure e coerenti di quelle del precedente disco For the first time, sono anche più lunghe, strane ed estreme, come se la band avesse fretta di costruire il proprio mondo e di scacciare la routine. Stavolta Wood canta, più che sproloquiare, anche se la sua voce conserva il tremore di un uomo a cui sono appena state mostrate le immagini di un asteroide diretto verso la Terra. I suoi testi sono ancora ironici e ricchi di dettagli assurdi, tra connessioni wifi precarie e candele profumate, ma sono anche strazianti, come se il pathos di Morrissey fosse stato aggiornato per la generazione di Sally Rooney.
Sam Richards, Uncut

Per il salterio

La riscoperta della musica per salterio nell’Italia settentrionale del settecento è la missione di questo album dell’ensemble di Margit Übellacker (salterio) e Jürgen Banholzer (clavicembalo e organo). Nato nel medioevo, oggi il salterio è uno strumento che capita molto di rado, sia in concerto sia in disco. Ed è una rivelazione. Basta un attimo per essere conquistati dal suo timbro vellutato, a metà strada tra mandolino, clavicembalo e fortepiano. Pizzicato o suonato con dei martelletti ricoperti di stoppa o cuoio, schiude un ventaglio immenso di tessiture, sfumature e colori. Gli interpreti potrebbero accontentarsi delle ricchezze timbriche dei loro strumenti. Invece si dimostrano meravigliosi per grazia, eleganza e spensieratezza: doti perfette per queste pagine di musica galante, unite alla scioltezza della linea melodica e al virtuosismo sottile. È incredibile che questi tesori siano rimasti tanto a lungo nascosti.
Fabienne Bouvet, Classica

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1448 - 18 febbraio 2022
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