Il film racconta tre difficili giorni nella vita di Diana Spencer (Kristen Stewart) durante le vacanze di Natale del 1991 nella tenuta reale di Sandringham. Pablo Larraín ha descritto questo lavoro come “una favola al contrario”. Partendo da una sceneggiatura di Steven Knight (Locke, Peaky blinders), il regista cileno ritrae Diana come una martire dell’upper class, un’equivalente moderna della sventurata Anna Bolena. Larraín e Knight si sono presi enormi libertà: “Ora vattene, voglio masturbarmi”, dice perentoria Diana a una cameriera. Non è una battuta che si sente spesso in un dramma sulla famiglia reale britannica. I disturbi alimentari di Diana sono affrontati esplicitamente, la vediamo sia vomitare sia provocarsi lesioni. Alcuni momenti potrebbero far pensare a un film lascivo e voyeuristico, con una mentalità da tabloid. Ma è il contrario. È poetico ed elegiaco. L’interpretazione febbrile di Kristen Stewart e il lirismo di Larraín danno al film una spinta emotiva che mancava a tutte le altre raffigurazioni di Lady Diana.
Geoffrey Macnab, Independent
Cile / Germania / Regno Unito / Stati Uniti 2021, 107’. In sala
Francia 2021, 105’. In sala
Una Parigi in bianco e nero, una zona (le torri del 13o arrondissement) quasi mai filmata, volti nuovi che nascono sullo schermo: il film di Jacques Audiard, presentato in concorso a Cannes, riporta le storie di una generazione sull’orlo del disincanto. Émilie (Lucie Zhang), laureata in scienze politiche, si ritrova a vendere abbonamenti telefonici; Camille (Makita Samba), disilluso insegnante di francese, a trent’anni non crede più alla meritocrazia repubblicana di cui è tuttavia espressione. Niente sembra più funzionare, tranne il sesso, ma Émilie e Camille cercheranno comunque di assaporare un pezzetto di quel paradiso che i loro genitori gli hanno promesso: trovare lavoro, innamorarsi e via dicendo. Adattato da tre graphic novel di Adrian Tomine, il film sembra voler abbracciare un’epoca. Ma l’intelligente sceneggiatura, che Audiard ha scritto insieme a Céline Sciamma e Léa Mysius, cattura così bene lo spirito dei tempi, cerca di riempire così tante caselle, che finisce per rimanere impantanata nella sua attualità.
Clarisse Fabre, Le Monde
Francia / Tunisia 2021, 102’. In sala
L’educazione sentimentale ed erotica di un ragazzo, condotta da una ragazza e filmata da una regista. Ecco la rara promessa dell’opera seconda di Leyla Bouzid, dove il romanzesco si aggancia a una realtà precisa quanto complessa. Ahmed, 18 anni, francese di origini algerine, ha sempre vissuto nella banlieue parigina. Farah invece viene da Tunisi. Lei esuberante, lui riservato, s’incontrano alla facoltà di lettere e l’attrazione tra di loro è immediatamente evidente. Poi, una sera, il loro primo abbraccio, mancato, fa apparire un abisso di incomprensioni tra di loro. La sensualità immediata del film dovrà allora fare i conti, esattamente come Farah, con gli ostacoli che Ahmed si costruisce da solo. Ma è possibile riuscire a cambiare pelle, a 18 anni, in tempi di implacabile determinismo? Leyla Bouzid cerca risposte con pudore, senza cedere alla pruderie.
Louis Guichard, Télérama
Stati Uniti / Australia 2022, 115’. PrimeVideo
Il leggendario regista britannico Adrian Lyne torna dietro la macchina da presa a vent’anni dal suo ultimo film con questo faticoso thriller, adattato dal romanzo del 1957 di Patricia Highsmith, già portato sullo schermo nel 1981 con Jean-Louis Trintignant e Isabelle Huppert nei ruoli principali. Questa volta sono Ben Affleck e Ana de Armas a interpretare una coppia “aperta” in modo tossico. Solo a tratti Lyne riesce a colpirci con questo film per altro sciocco e poco credibile, che arranca senza aumenti di tensione e senza il sostegno di una spinta psicologica plausibile dei personaggi. Acque profonde è così sconcertante che si potrebbe salvare solo se scoprissimo che tutto è frutto di un sogno degno di un film di David Lynch.
Peter Bradshaw, The Guardian
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