Nel febbraio 2010, Florence Aubenas (reporter di Le Monde e prima, per vent’anni, di Libération) pubblicava Le quai de Ouistreham, risultato di un’inchiesta sul mondo del lavoro precario. Per scriverlo Aubenas per sei mesi aveva lavorato sui traghetti che partono dal porto di Caen-Ouistreham. Il libro suscitò un grande clamore. Nel libero adattamento di Emmanuel Carrère, Aubenas diventa Marianne Winckler, una famosa scrittrice interpretata da Juliette Binoche (che ha recitato accanto a un cast di non professioniste). La star si cala tra i mortali per infilarsi nei loro panni: indecenza o fedeltà alla realtà? Un’asimmetria che pone un problema etico ben noto. Tutto il film parla di questa impostura, esplora il dilemma se – nella finzione, come nel lavoro giornalistico – il fine giustifica i mezzi. Il film ha il buongusto di non essere coinvolgente, perché quello che interessa davvero Carrère è il ritratto di una scrittrice doppiogiochista. Non punta sulla denuncia sociale, ma sulla descrizione dell’amicizia tra Marianne e una sua collega. Se le azioni di Marianne possono essere oggetto di discussione, si può però scagionare Juliette Binoche che ci offre una “spia” onesta e senza secondi fini (almeno per quanto la scrittura glielo permette). Tra i pregi che ha, il film si preoccupa di non tradire nessuno quando gioca con il paradosso secondo cui è possibile mentire senza ingannare.
Sandra Onana, Libération
Francia 2021, 106’. In sala
Stati Uniti / Grecia 2021, 121’. In sala
Leda (Olivia Colman) è una docente universitaria in vacanza in Grecia, decisa a perdersi in una pila di libri. Ma la sua attenzione è richiamata da una famiglia numerosa che frequenta la stessa spiaggia. Sviluppa una specie di fissazione per Nina (Dakota Johnson), la giovane madre che fatica a farsi ascoltare dalla figlia. Un piccolo incidente sulla spiaggia la spinge a rimettere in discussione la sua esperienza come madre. Maggie Gyllenhaal riesce a fare suo ed elevare il materiale del romanzo di Elena Ferrante da cui è tratto il film, e coglie in pieno le aspettative sulla maternità e le pressioni esercitate sulle madri nella nostra società: sorridere e non lamentarsi, anche quando dentro di te stai urlando.
Yolanda Machado, The Wrap
Stati Uniti 2021, 109’. In sala
I film di Mike Mills non schiacciano lo spettatore alla poltrona, avvolgendolo come una coperta. Guardarli è piuttosto simile a una visita a una pinacoteca. Volendo si può uscire senza trattenere nulla, oppure ci si può perdere in un dipinto ed esplorare i mondi che contiene. Il sobrio C’mon c’mon racconta un viaggio improvvisato attraverso l’America di uno zio, il giornalista radiofonico Johnny (Joaquin Phoenix), con il nipote Jesse (Woody Norman). La scelta di realizzarlo in bianco e nero è utile a non farsi distrarre dai paesaggi per puntare dritto al cuore della vicenda. Infatti C’mon c’mon è un film sulla capacità di ascoltare quello che gli altri hanno da dire. Johnny sta seguendo un progetto in cui intervista bambini in giro per il paese per conoscere la loro idea del futuro. Suo nipote, un bambino di nove anni eccentrico e teneramente strano, rifiuta di farsi intervistare, ma s’immerge nei suoni che lo circondano. Attraverso questa esperienza Johnny e Viv (Gaby Hoffmann), sua sorella e madre di Jesse, riallacciano un rapporto spezzato anni prima.
Wendy Ide, The Observer
Stati Uniti 2022, 126’. Netflix
In un lussuoso hotel nella campagna britannica, una troupe di Hollywood s’isola in una bolla per evitare contagi e realizzare il sequel di un film fantasy. Soffrendo l’isolamento e la pressione, i vari personaggi si trasformano rapidamente in signore e signori delle mosche, e i loro crudeli sotterfugi finiscono per minacciare le loro carriere e le loro stesse vite. Questa commedia, scritta da Judd Apatow e Pam Brady, ha un tono fin troppo caustico, la satira è fin troppo indiscriminata e l’umorismo risulta spesso forzato. Ma la rabbia che viene fuori dalla storia sembra davvero autentica e personale.
Richard Brody, The New Yorker
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