A Grace Ives piace creare miniature. I suoi primi lavori includono un album di suonerie e un ep di canzoni per bambini. Costruiti sulla semplicità e sulla ripetizione, quei dischi rappresentano un banco di prova per gli appassionati di sintetizzatori. E sulla groovebox Roland Mc-505 si fonda completamente 2nd del 2019, che condensa armonie da girl group, ritmi drum’n’bass e suoni robotici alla Daft Punk in soli ventidue minuti di durata. Nel nuovo Janky star la musicista newyorchese aggiunge chitarre, piano e una voce più dinamica, senza tuttavia sacrificare la brevità, lasciando entrare grandi idee in una scatola compatta. Questo è uno dei migliori piccoli album pop del 2022. Ives alterna momenti lenti e tranquilli ad altri più energici. È la sua voce, versatile ed elastica, a guidare il ritmo, qualsiasi sia il ruolo da interpretare in questo one woman show. Se la diversità degli stili potrebbe invogliare a un ascolto frammentato, la verità è che comunque queste dieci canzoni, distribuite in trenta minuti, non annoiano mai. Janky star è come un libro animato, dove ogni brano fiorisce e sfiorisce autonomamente. Eppure c’è un tema ricorrente, il desiderio di una vita degna e la quiete necessaria per apprezzarla. Forse Grace Ives non sta per diventare famosa ma, a modo suo, rappresenta bene il titolo del suo album, Janky star: una stella scadente, grezza nei contorni ma dalla luce incontenibile.
Arielle Gordon, Pitchfork
Il titolo del quinto album da solista di Vieux Farka Touré, Les racines, si traduce in “le radici”. Nel disco il musicista, figlio del leggendario Ali Farka Touré, scava in profondità nella musica songhai del Mali settentrionale. Lui è cresciuto con questi suoni, ma nei suoi lavori precedenti sconfinava spesso nel jazz e nel rock, mentre stavolta si dedica completamente al blues del deserto. Il brano d’apertura, Gabou ni tie, si muove direttamente in quei paesaggi spazzati dalla sabbia con un suono circolare e ipnotico, mentre Adou e Ndjehene direne insistono sullo stile di chitarra che attirerà subito i fan di artisti tuareg come Bombino e Mdou Moctar. Tra tutti spicca il brano che dà il titolo al disco, uno strumentale con parti di chitarra brillanti, simili al flamenco, che si susseguono a cascata attorno alla kora suonata splendidamente da Madou Sidiki Diabaté, con l’aggiunta di percussioni scattanti. Un pezzo stupendo e universale. Touré aggiunge la sua dolce voce alla beata Lahidou, che mette in mostra nuovamente anche il lavoro alla kora di Diabaté. Vieux Farka Touré lavora duramente per collegare i temi dell’album con la sua terra natale e la sua storia personale nella scintillante Flany Konare, dedicata a sua zia, mentre lo spirito del padre è onnipresente nel disco. Il musicista maliano continua la tradizione degli artisti che l’hanno preceduto, forgiando la propria strada. Les racines è un inno al passato, ma Touré lavora costantemente per un futuro migliore.
Shawn Donohue, Glide Magazine
Questi tre bellissimi pezzi di musica da camera di Samuel Coleridge-Taylor (1875-1912), composti nel 1893, sono rimasti a lungo dimenticati: il nonetto e il quintetto sono emersi ogni tanto, ma il breve trio riceve probabilmente qui la sua prima performance dopo quella dell’autore diciottenne al Royal college of music. Ora i pezzi sono stati scelti dal Kaleidoscope Chamber Collective per festeggiare la sua nomina a ensemble residente della Wigmore hall di Londra. Il nonetto e il quintetto straripano di vivacità: Coleridge-Taylor era formato dall’esempio di Brahms, Schumann e Dvořák, un vero idolo del giovane compositore, ma sempre molto originale. Il Kaleidoscope è pieno di musicisti di alto livello, sempre all’altezza della musica per sicurezza e vigore.
David Threasher, Gramophone
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