Nella raccapricciante favola di Alex Garland (Ex machina) gli uomini sono davvero tutti uguali. Sostenuto emotivamente da Jessie Buckley (che ha dimostrato di saper salvare da sola film surreali, come nel caso di Sto pensando di finirla qui di Charlie Kaufman), questo giocoso e contorto pasticcio forse non è così profondo come sembra. Ma c’è abbastanza melma metaforica perché le riflessioni sulle caratteristiche più tipiche del genere maschile siano raramente noiose e in alcuni casi deliziosamente disgustose. Harper (Buckley) è sopravvissuta a una relazione tossica. Per rimettere insieme i pezzi si rifugia in un ambiente bucolico: una casa di campagna da sogno, con l’accento che ricade sulla parola sogno. La tavolozza di colori saturi della fotografia di Rob Hardy e le scenografie sanguinosamente leziose di Mark Digby e Michelle Day ci conducono in un mondo di lupi cattivi e mele avvelenate. Gli uomini che Harper incontra durante il suo surreale soggiorno sono tutti simili (e tutti interpretati da un solo attore, Rory Kinnear, che scivola senza fatica tra gli stereotipi a cui dà volto). E il fatto che lei non noti le somiglianze ci fa capire che si tratta di un espediente: il mondo è visto attraverso gli occhi di Harper, le sue esperienze, i suoi ricordi. Un mondo forse fantastico che custodisce però una verità essenziale. Gli aspetti (body e folk) horror funzionano e il senso di assedio fa pensare a Cane di paglia. Ma l’ambientazione evoca, sebbene involontariamente, anche Hot fuzz.
Mark Kermode, The Observer
Regno Unito 2022, 100’. In sala
Stati Uniti 2022, 107’. In sala
Il nuovo film di Cronenberg è un’esibizione di atrocità in stile ballardiano ambientata in un futuro inquietante, in cui il corpo delle persone cambia facendo pensare a una fase evolutiva post-umana. I progressi nel campo medico e analgesico hanno ridotto le sensazioni fisiche al punto che il dolore è un ricordo del passato (e oggetto di nuove perversioni), come il piacere, il disgusto, la paura. Fanno capolino anche delle mutazioni, di cui però non è chiara la funzione. L’artista Saul (Viggo Mortensen) sviluppa nuovi organi in quantità e la fidanzata ex chirurga Caprice (Léa Seydoux) lo aiuta a coltivarli e a usarli per delle performance. L’intrigo coinvolge le autorità che devono monitorare le mutazioni e gli edonisti per cui “la chirurgia è il nuovo sesso”, come sussurra la nervosa Timlin (Kristen Stewart) a Caprice. Crimes of the future si può vedere come una commedia nera, ma forse interpretarlo in questo modo è scorretto: ridere è “vecchio sesso”. Il punto forse è che qui siamo oltre categorie come serio e divertente, o anche disgustoso e sexy. In ogni caso quello su cui c’invita Cronenberg è un pianeta straordinario e il regista insiste perché ci togliamo il casco prima di essere sicuri che l’atmosfera sia respirabile.
Peter Bradshaw, The Guardian
Stati Uniti 2022, 127’. In sala
In Bullet train, Brad Pitt interpreta Ladybug, un killer a pagamento come quasi tutti gli altri personaggi del film: Tangerine (Aaron Taylor-Johnson) e Lemon (Brian Tyree Henry), che tutti chiamano i gemelli; Hornet (Zazie Beetz); Prince (Joey King); e altri ancora. Tutti questi specialisti si ritrovano su un treno che corre da Tokyo a Kyoto. Curiosamente, anche se si tratta di un treno superveloce, impiega un’intera notte per un percorso di due-tre ore. Niente illusioni, non siamo di fronte a una versione gore di Assassinio sull’Orient-Express. Agatha Christie dà sempre al suo pubblico qualcosa da mettere sotto i denti, mentre qui c’è davvero poco da masticare. Ladybug deve restituire una valigetta piena di soldi per cui i suoi colleghi sono pronti a uccidere. La carneficina non conosce soste e la stessa valigetta diventa sia arma sia scudo nelle sapienti mani di Ladybug. Bullet train fa parte di quelle infelici opere cinematografiche che in modo presuntuoso e sfacciato cercano di avvicinarsi ai film di Quentin Tarantino. Alla fine l’unico a salvarsi dal massacro è Brad Pitt, che scivola indisturbato in mezzo al caos protetto da una nuvola di fascino.
Anthony Lane, The New Yorker
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