Chi ha in testa l’immagine da eterno adolescente che ha definito Alex G per più di dieci anni, deve abituarsi a una versione più contemplativa di questa leggenda con la faccia da bambino. L’eroe lo-fi di Filadelfia sta maturando e ha raggiunto quel punto nella carriera in cui l’introspezione e la volontà di aprirsi a nuove idee, come la fede, sono diventate il catalizzatore della creatività. Come sempre, il suo ultimo disco, God save the animals, non è un prodotto finito. Alex G ha molte domande da farsi, demoni con cui riconciliarsi, e spinge anche gli ascoltatori a trovare conforto nel soprannaturale. Lo dimostrano i titoli di alcuni brani come Forgive e Blessing, anche se l’esplorazione della fede supera qualsiasi dottrina religiosa. Questo non è il suo album christian rock, ma musica universale. Blessing è un losco gospel che non somiglia a nient’altro, mentre Forgive colpisce dritta allo stomaco. Altrove, come in No bitterness, Alex G fa il Nick Drake distorto per due minuti e chiude con un pop sperimentale che farebbe impallidire i Drain Gang. Tutti questi salti di genere sarebbero confusi se fatti da qualcun altro, ma l’irregolarità è il tratto distintivo di Alex G. Alla fine God save the animals trova una coesione sulla carta impossibile.
Kyle Kohner, The Line of Best Fit
Arrivato dopo il debutto Future me hates me, grezzo ed energico, del 2018, il secondo album dei neozelandesi Beths, Jump rope gazers, era più calmo, introspettivo e malinconico. I testi di questo disco del 2020 erano onesti e raccontavano la frenesia della vita in tour e il desiderio di tornare a casa per un po’ di normalità. Il nuovo Expert in a dying field si posiziona tra questi due lavori, combinando potenza e sentimento. Tutte le canzoni esaminano la fine di diverse relazioni, sia platoniche sia romantiche, con tutto il miscuglio emotivo che si porta dietro. La canzone che apre l’album e gli dà il titolo rende bene l’idea di quello che succede quando si rompe con qualcuno: “L’amore s’impara nel tempo, finché non diventi un esperto in una materia moribonda”. Dal lato sonoro, la band neozelandese torna su armonie vocali basate sul botta e risposta. I riff di chitarra sono espressivi, specialmente in A passing rain. Tuttavia il disco rallenta un po’ nella seconda metà, dove sembra colpire meno nel segno. Forse queste canzoni daranno il meglio di sé dal vivo. I Beths funzionano quando restano spontanei e stavolta hanno comunque il merito di aver fatto un album in grado di raccontare amori perduti e richieste di aiuto senza sconfinare nella stucchevolezza. Pochi dischi ci riescono.
Alex Nguyen, Under The Radar
Il pianista russo-tedesco Igor Levit è sempre imprevedibile. Il suo nuovo doppio cd ruota intorno ad amore e morte e, in contrasto con la ricchezza policromatica del suo On Dsch, uscito l’anno scorso, è di monocromatica sobrietà. Il tema unificante è la leggenda di Tristano, resa famosa da Wagner e poi esplorata da altri come omaggio e fonte d’ispirazione. Anche stavolta le scelte di repertorio di Levit sono coraggiose. La più ardita è quella di dedicare quasi un disco, dopo il Liebestraum n. 3 di Liszt, a Tristan, composizione in sei movimenti di Hans-Werner Henze del 1974, un lavoro poco eseguito pieno di tenera sensualità. È per piano, nastro magnetico e orchestra, che qui è quella della Gewandhaus di Lipsia diretta da Franz Welser-Möst. Dopo arriva la trascrizione di Zoltán Kocsis del preludio del Tristano e Isotta di Wagner, ottima per preparare l’ascoltatore alle enigmatiche dissonanze dell’adagio della decima sinfonia di Mahler, trascritto per piano da Ronald Stevenson. L’ultimo pezzo è lo studio d’esecuzione trascendentale di Liszt Harmonies du soir, che prima è ricco di prorompente splendore, poi si chiude in un clima nebuloso e tranquillo. Una fine perfetta per l’album.
Fiona Maddocks, The Guardian
Articolo precedente
Articolo successivo
Inserisci email e password per entrare nella tua area riservata.
Non hai un account su Internazionale?
Registrati