Cultura Suoni
Revolver
I Beatles a Abbey Road, 1966 (Jeremy Neech, Apple Corps Ltd.)

Nel 1966 i Beatles si rassegnarono al fatto che l’unico ambiente in cui potevano crescere come artisti era lo studio di registrazione. Meno di un mese dopo l’uscita di Revolver, la band fece il suo ultimo concerto. Era la fine di un’era, le urla dei fan erano alle spalle. Le droghe psichedeliche avevano aperto le menti dei Fab four e la tecnologia dello studio avanzava rapidamente, dando alla band gli strumenti per espandere la coscienza del pop. Sembrava che Giles Martin, il figlio del produttore dei Beatles George Martin, non sarebbe stato in grado di ricreare la stessa magia dei remix del White album e di Abbey ­road­, perché Revolver al tempo fu registrato in mono solo su quattro tracce. Ma, usando le tecnologie di nuova generazione sperimentate da Peter Jackson per il documentario su Get back, Martin ha raggiunto un risultato sorprendente con le nuove versioni in stereo dei brani. I 14 pezzi del disco si confermano più che brillanti, in particolare For no one e Tomorrow never knows. L’oro per i fan dei Beatles è nel secondo e terzo disco del cofanetto, che contiene le prove in studio e le demo casalinghe. Qui ci sono, per esempio, Martin che segue la direzione di McCartney per gli archi di Eleanor Rigby e la prima registrazione di Yellow submarine (con un Lennon in acustico che intona tristemente: “Nel luogo in cui sono nato, a nessuno importava”). Ci saranno dei divorzi se questo cofanetto non finirà sotto l’albero a Natale. Ian Fortnam, Classic Rock

Where I’m meant to be
Ezra Collective (Aliyah Otchere)

Gli Ezra Collective fanno parte di una scena jazz londinese che dà la priorità all’apertura mentale. Per loro suonare un pezzo in maniera impeccabile è meno importante che infrangere qualche regola. Il loro obiettivo è mischiare i generi. Qualche anno fa la band si è goduta il successo del suo esordio, You can’t steal my joy. Il tour è stato interrotto a causa della pandemia, così la band ha avuto tempo per ponderare la prossima mossa. Questo secondo lavoro rovista di più nelle tasche dell’hip hop e del neo soul, coinvolgendo artisti come Sampa the Great, Kojey Radical ed Emeli Sandé, anche se il lavoro fatto dagli Ezra Collective è così compatto che gli ospiti non sono fondamentali. Quella copertina con un sorridente Femi Koleoso, batterista e leader del gruppo, è una versione ottimistica di Underground di Thelonious Monk. Where I’m meant to be non è un concept album ma è guidato dall’idea di celebrare la vita. Il disco non s’impone del tutto perché alcuni passaggi parlati suonano troppo autocelebrativi, da una conversazione con Tony Allen a un’altra, al telefono, con il regista Steve McQueen. Momenti che funzionano meglio nelle interviste e nei comunicati stampa, tanto più se parliamo di artisti che di solito lasciano che sia la musica a parlare per loro. John Garratt, Spectrum Culture

Stravinskij: opera per pianoforte solo

Questo cofanetto presenta per la prima volta su disco tutte le opere per piano solo di Igor Stravinskij, compresi i suoi arrangiamenti e le sue trascrizioni. L’impresa ha richiesto l’impegno di artisti, musicologi, eredi e fondazioni, oltre a quello di una casa discografica appassionata. Il risultato è un contributo inestimabile alla nostra conoscenza del compositore. Il pianismo cristallino e sempre preciso di Aleksej Zuev è ideale per capire il pianoforte di Stravinskij, spesso considerato meccanico. Qui se ne rivela invece la ricchezza. Ascoltando questi cinque cd si scopre uno stile inimitabile e di duttilità stupefacente. Zuev, da grande musicista, raccoglie la sfida presentandoci il piano percussivo alla Bartók dell’inedita marcia da Renard come la ricca tavolozza della trascrizione di Petruška. Quest’ultima, cavallo di battaglia dei virtuosi, arriva subito dopo il lirismo dei giovanili studi op. 7 e si rivela così ancora più mozza­fiato del solito. Pezzo dopo pezzo, l’evoluzione dell’arte di Stravinskij diventa evidente. Zuev segue con agilità la metamorfosi dei suoi elementi di armonia, ritmo e melodia. E ne evidenzia costantemente il ruolo fondamentale. Jérémie Bigoire, Diapason

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1485 - 4 novembre 2022
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