Il nuovo film di Sam Mendes è ambientato nel 1981, in un cinema di Margate, nel Regno Unito, che si chiama Empire (che non esiste nella realtà). E racconta una storia d’amore che sembra basata soprattutto sul dolore. Hilary (Olivia Colman) è una donna di mezza età, sola e con dei problemi psichiatrici. Stephen (Michael Ward), molto più giovane, è il figlio d’immigrati dai Caraibi alle prese con il trauma quotidiano di vivere in un paese razzista. Il film mostra le loro rispettive sofferenze, sempre attraverso gli occhi dell’altro, ma ha qualcosa di superficiale. Come se l’autore fosse più interessato a rappresentare grandi emozioni che a raccontare una storia.
Clarisse Loughrey, Independent
Stati Uniti 2022, 119’. In sala
Francia / Paesi Bassi 2021, 127’. In sala
Nel convento di Pescia, nella Toscana della controriforma, suor Benedetta Carlini dà del filo da torcere agli inquisitori, sputando sublime e grottesco in faccia ai suoi aguzzini. Il film di Paul Verhoeven – basato sul libro Immodest acts della storica statunitense Judith C. Brown – è barocco, formalmente e storicamente, come la controriforma da cui prende in prestito l’onnipresente doppio movimento. E forse vuole suggerire che viviamo in un mondo in molti aspetti barocco. Perfetta in questo senso l’interpretazione di Virginie Efira, che fornisce ogni sfumatura del personaggio senza darne nessuna.
Luc Chessel, Libération
Ungheria 2020, 95’. In sala
Márta è una neurochirurga ungherese che torna in patria dopo vent’anni negli Stati Uniti assecondando un impulso: dopo aver incontrato un collega a una conferenza, János, si sono dati appuntamento a Budapest. Ma lui non si presenta e quando lei lo rintraccia János nega di averla mai conosciuta. Sta mentendo? Soffre di amnesia? O Márta si è convinta che le sue fantasie su di lui siano accadute veramente? Il film stabilisce subito un’ambiguità e tiene aperto il mistero fino alla fine. Sul secondo lungometraggio di Lili Horváth incombe la figura di Krzysztof Kieślowski, di cui Horváth non riesce tuttavia a uguagliare la straordinaria capacità di dare sottili significati anche ai dettagli più banali. Ma la pellicola è affascinante e Horváth dimostra di essere un’autrice promettente.
Michael Brooke, Sight and Sound
Belgio 2021, 75’. In sala
Nora, sei anni, ha appena cominciato le elementari. Presto si accorge che il fratello maggiore Abel è bullizzato da vari compagni di scuola, riferisce la cosa al padre e agli insegnanti, ma così rischia addirittura di peggiorare la situazione. Nora si trova così di fronte al dilemma se non dire niente, come le ha chiesto il fratello, o invece intervenire, come vorrebbe che facesse il padre. Il patto del silenzio risveglierà nello spettatore sentimenti più o meno dimenticati di vergogna e paura, dell’ignoto, di fallire, di essere puniti. E soprattutto il timore di non sapersi difendere dalla violenza. Il film è angosciante e realistico perché è girato, ad altezza di bambina, con grande precisione e densità dall’esordiente Laura Wandel.
Jacques Morice, Télérama
Stati Uniti 2023, 116’. In sala
Adonis Creed (Michael B. Jordan, che stavolta è anche regista del film) si gode il successo con la sua famiglia quando la ricomparsa di un vecchio amico, Dame (Jonathan Majors), lo costringe a fare i conti con il passato. Dame ha passato gli ultimi diciotto anni in prigione e ora è deciso a prendersi quello che secondo lui gli è stato negato. Inizialmente Adonis gli offre aiuto, ma ha evidentemente sottovalutato Dame. Una sceneggiatura eccessivamente elaborata impedisce a tutti i colpi che Creed III ha in serbo di raggiungere il bersaglio. Ma Jordan dimostra buone doti di regia e, sullo schermo, insieme a Jonathan Majors forma una coppia formidabile.
Kate Erbland, IndieWire
Articolo precedente
Articolo successivo
Inserisci email e password per entrare nella tua area riservata.
Non hai un account su Internazionale?
Registrati