Cultura Suoni
Multitudes
Feist (Mary Rozzi)

La base di Multitudes è fatta di arrangiamenti ingannevolmente semplici. Ma sotto la superficie si trova sempre qualcosa di più complesso e attentamente calcolato. Il brano di apertura, In lightning, va subito al cuore dell’album di Feist con un clamore di voci che si affievoliscono per concentrarsi solo su di lei. Linee di synth aggiungono un po’ di colore, gli archi si alzano e si abbassano nel mix senza mai intromettersi, e in Forever before arrivano perfino dei rumori industriali. Ma la voce e i testi meravigliosamente evocativi della cantante canadese sono ancora l’attrazione principale, spesso accompagnati solo da una chitarra acustica: siamo in piena modalità Joni Mitchell (connazionale di Feist) offrendo un degno successore dei suoi magnifici lavori degli anni settanta. “Cosa deve finire perché cominci per sempre?”, chiede Feist in Forever before, riassumendo gli sconvolgimenti (nascita, morte) del periodo di gestazione del disco. Ma, a parte qualche grido in Borrow trouble, lei sembra imperturbabile, considerando le sue gioie e i suoi dolori con uguale rispetto. È un album maturo. Bisogna dedicargli molta attenzione, ma vale sempre la pena di scoprire cos’ha da dirci Feist.
Lewis Wade, The Skinny

I came from love
Dave Okumu (Nicolas Premier)

Dal 2009 Dave Okumu è una presenza costante nella mia vita. I dischi con la band The Invisible oppure la collaborazione con Joan As Police Woman e Tony Allen, e ancora il suo debutto da solista Knopperz sono tutti incredibili, ma era come se Okumu trattenesse qualcosa. Ora ha lasciato uscire tutto con I came from love. Anche se resta sempre un solista, ha voluto firmare questo album con The Seven Generations, il gruppo con cui di fatto lo ha sviluppato: Nick Ramm alle tastiere, Aviram Barath ai sintetizzatori e Tom Skinner alla batteria. Ma ha coinvolto anche qualche amico, come il trombettista Byron Wallen, il polistrumentista Raven Bush e Grace Jones. La prima voce che sentiamo è la sua, con un monologo parlato – “Fai due cose con i tuoi soldi, compra la terra e compra giovani schiavi” – mentre intorno cori e ritmi rendono l’idea del lavoro tra i campi. Lo stile della band rende difficile distinguere cosa è cantato e cosa è suonato e questa confusione è magistrale. Amnesia è una delle tracce migliori, con il musicista britannico che ci dà la sua versione di Prince e il testo che suona come un mantra: “amnesia, cuore spezzato” è un verso così semplice da non rivelare niente, lasciando a noi il compito d’interpretarlo. I came from love non è solo il disco di Okumu più bello, ma s’impone anche come uno dei migliori dell’anno.
Nick Roseblade, Clash

Doráti Detroit. Complete Decca recordings

L’incarico di Antal Doráti come direttore principale della Detroit Symphony orchestra fu breve (dal 1977 al 1981) ma di un’intensità assoluta. La Decca, fedele al direttore ungherese, lo seguì nella città del Michigan per fargli fare gli album che ora troviamo in questo cofanetto. Sono dischi che s’impongono immediatamente per la registrazione spettacolare, realizzata non nella sala da concerti dell’orchestra ma in un cinema porno. Ci fanno sentire di essere di fronte a una formazione dal lustro sempre inalterato, con la cura minuziosa dei dettagli che non oscura mai una sonorità sfavillante. Il punto forte di questa raccolta sono i compositori ai quali Doráti si dedicava con più concentrazione da molti anni. Tra gli album di musiche di Richard Strauss spicca l’opera Die ägyptische Helena, che era alla sua prima registrazione in studio. Solo due dischi per Béla Bartók, ma preziosi per i loro colori acidi e la follia ritmica. È difficile fare une scelta anche nel molto Stravinskij, tanto personali sono le letture (per esempio un Petruška veramente furioso). La musica da balletto, fondamentale nel repertorio di Doráti, è rappresentata dal suo amico Aaron Copland. Sono tutte testimonianze di un direttore che aveva una forza drammatica fuori dal comune.
Thomas Deschamps, Classica

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1508 - 21 aprile 2023

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