La migliore e più azzardata idea dell’universo cinematografico Marvel (Mcu) è stata quella di presentare serie all’interno di serie, intrecciando le loro logiche e i loro personaggi. Eppure sullo schermo questo concetto non sempre ha funzionato bene. Nel frattempo, la spinta narrativa Marvel sembra aver perso intensità, soprattutto dopo l’ultimo, limaccioso film di Ant-Man. Nessuno di questi problemi affligge Guardiani della galassia, la serie di James Gunn su un improbabile gruppo di guerrieri cosmici che sono riusciti a mantenere intatto il loro fascino fino a questo terzo e ultimo film: uno sfacciato, ma affettuoso addio alle disadattate stelle di una gratificante opera spaziale. Ritroviamo tutti i protagonisti alle prese con l’Alto Evoluzionario, un genetista che compie crudeli esperimenti sugli animali con l’intenzione di creare specie perfette. Ci si rende conto che probabilmente è l’ultima serie Marvel in cui ci s’interessa davvero alla sorte dei suoi eroi, cosa che conferisce a Guardiani della galassia 3 un peso narrativo molto più potente della minaccia di qualsiasi portentoso supercriminale. Un investimento emotivo che è mancato in tanti film di supereroi, non solo Marvel: il senso del perché la storia dovrebbe continuare, al di là delle logiche commerciali. Questo film è un felice addio a molti dei migliori eroi dell’Mcu, quelli che in qualche modo sono riusciti ad arrivare in fondo a una serie senza essere rovinati dal più vasto universo di supereroi in cui abitano. E per la Marvel è sia una vittoria sia un problema.
David Simms, The Atlantic
Stati Uniti 2023, 150’. In sala
Irlanda / Regno Unito / Stati Uniti 2022, 100’. In sala
I delicati equilibri che regolano una piccola comunità irlandese di pescatori sono sconvolti quando Aileen (Emily Watson) si trova combattuta tra difendere il figlio Brian (Paul Mescal) e restare fedele alla sua coscienza. Tra Aileen e Brian c’è un legame speciale. Quando lui torna dopo alcuni anni passati in Australia, è come se il sole riuscisse a fare breccia attraverso la spessa coltre di nubi che avvolge questo piccolo angolo d’Irlanda. Seguendo una partitura scarna e discordante diventa chiaro che quella di Aileen non è una famiglia felice. Brian è ai ferri corti con il padre e il suo legame con la madre gli rende difficile confrontarsi con l’altro sesso. Aileen si schiera istintivamente con il figlio, allontanandosi così dalla vita del villaggio, sottolineato da belle inquadrature in campo lungo e molto ben fotograte. Questo dramma, solido anche se non troppo originale, è recitato con convinzione dai due protagonisti. Ma le performance degli attori possono incidere fino a un certo punto quando, al di là delle buone intenzioni, l’esplorazione sulla circolarità della violenza risulta amaramente familiare.
Wendy Ide, The Observer
Stati Uniti / Canada 2022, 89’. In sala
All’inizio Alice (Anna Kendrick) dà un’immagine praticamente ideale di una donna moderna, liberata e felice. Dall’esterno sembra avere tutto, compresa una carriera avviata, degli amici affezionati, una bella casa e un fidanzato attraente e premuroso, Simon. Osservandola da vicino si cominciano a vedere le crepe che circondano il suo sorriso, e più a lungo si guarda più appaiono numerose e profonde. Intanto l’attraente Simon si rivela un uomo emotivamente violento. I nodi vengono al pettine durante una vacanza organizzata dalle amiche di Alice per festeggiare il suo compleanno. L’intrigante premessa evoca classici della manipolazione emotiva, da Angoscia in poi. Ma la storia o la regia non riescono a reggere i novanta minuti del film.
Manohla Dargis, The New York Times
Francia 2021, 95’. In sala
Nelson, un ragazzo dell’isola della Réunion, sogna di diventare un cantante senza dire niente alla madre, che lavora sodo per dargli un futuro. Trova un insospettabile alleato nella figura di Pierre (Marc Lavoine), ex star che canta nel bar di un hotel locale. Nonostante i suoi difetti, il film rispetta il suo pubblico di riferimento (i bambini) e a momenti è quasi commovente.
Nicolas Schaller, L’Obs
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