L’azione principale di Un’isola si svolge nell’arco di quattro giorni, ma in questo lasso di tempo la sudafricana Karen Jennings riesce a comprimere la turbolenta storia di un paese africano senza nome e i suoi effetti disastrosi sulla vita di Samuel. Guardiano del faro in un esilio autoimposto su una piccola isola, il settantenne Samuel cura il suo orto e le sue uniche compagne sono delle galline. Ma è chiaro fin dall’inizio che non è tutto sereno su quest’isola. Nel giardino giacciono corpi sepolti giunti a riva nel corso degli anni. Il significato dell’interramento meticoloso di ognuno di loro da parte di Samuel si scoprirà più avanti: questo è un libro di rivelazioni graduali e ambiguità insolubili. Il romanzo si apre con il ritrovamento di uno di questi corpi, a differenza degli altri ancora vivo. Le emozioni contrastanti di Samuel nei confronti del sopravvissuto si fondono con i ricordi sempre più invadenti del suo passato poco onorevole sulla terraferma e riflettono l’attuale discorso sui richiedenti asilo. Jennings crea un abile equilibrio tra la tesa claustrofobia dell’isola e la storia di Samuel, cresciuto in un paese in cui l’indipendenza ha soppiantato il dominio coloniale, per poi sfociare in una dittatura militare. Per aver partecipato a una rivolta contro il dittatore, passa venticinque anni in carcere, nonostante le sue denunce di routine a danno dei compagni, senza risparmiare neanche la sua amante. Lo straniero sull’isola, quindi, è un simbolo di riparazione e di possibile redenzione per Samuel. Un’isola è un libro piccolo ma potente, con la portata di un’opera più grande, che unisce una critica politica spietata a un’allegoria resa in una prosa tenera.
Catherine Taylor,The Guardian
Winston Churchill è uno dei due attori principali del romanzo di Philippe Forest. L’altro è un pittore, Graham Sutherland, che nel 1954 ricevette l’incarico ufficiale di dipingere il ritratto del primo ministro, ormai debole e malato: il quadro gli sarebbe stato consegnato in autunno, in pompa magna, in occasione di una cerimonia organizzata per il suo ottantesimo compleanno. Ispirandosi a Shakespeare, ai suoi spettri e ai suoi incantesimi, Forest dà al dialogo tra i due uomini la forma di una rappresentazione teatrale. Una tragedia in quattro atti, tra i quali interviene un coro tragico: una voce che si alza al cambio di scena, anonima e incarnata. Non un personaggio, ma un “uomo che parla per tutti gli altri”, e che decifra la propria storia nello specchio del faccia a faccia che si svolge sul palcoscenico. Nel salotto e nel giardino di Chartwell, la residenza privata di Churchill, poi nel salone d’onore di Westminster e nella biblioteca di Chequers Court, durante le lunghe sessioni di posa e la cerimonia che segue, l’anziano statista e il circospetto artista parlano. La guerra, la storia, l’impero in disfacimento, la gloria e la sua vanità, l’arte. I due uomini hanno in comune – lo scoprono e i lettori con loro – di aver perso un figlio. Questo spiega la scelta di renderli protagonisti di una struggente meditazione sul buio e sul nulla.
Nathalie Crom, Télérama
“Tutto ciò che fai è emozionante, drammatico. Ha una storia. Niente è normale”, dice un personaggio. E così facendo riassume perfettamente i punti di forza e di debolezza del romanzo di William Boyd. Le parole sono rivolte a Cashel Greville Ross (1799-1882). Cashel non è mai esistito, anche se nella prefazione di Boyd si legge che il romanzo è ispirato alla sua autobiografia incompiuta. Chi è Cashel Greville Ross? Neanche lui ne è troppo sicuro. Le donne sono l’unica costante della sua storia. Ma ce n’è solo una che gli fa battere il cuore. È Raphaella Rezzo: una donna sposata che lo trasformerà nel “più grande sciocco romantico del mondo”. C’è abbastanza carne al fuoco per una saga, ma siamo solo all’inizio. Ed è questo il problema principale di Il romantico: troppa materia. Il libro non è mai noioso, ma neanche profondo. Eppure ha un’energia irresistibile.
John Self, Financial Times
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