Biografia è un termine un po’ riduttivo per contenere l’ambizione e la portata dell’ultimo formidabile (anche se a tratti poco maneggevole) film di Christopher Nolan. Oppenheimer è un film storico denso e intricato, annodato su più linee temporali. Intreccia drammi giudiziari, storie romantiche, epifanie scientifiche e culti della personalità. Ma forse, più di ogni altra cosa, è il film di mostri per eccellenza. L’Oppenheimer di Cillian Murphy è un Frankenstein dell’era atomica, un uomo affascinato dalle sconfinate possibilità della scienza, che si rende conto troppo tardi che la sua creatura ha infinite possibilità di distruzione (anche se il vero mostro non è l’invenzione di Oppenheimer ma gli istinti che alimenta). Questa intuizione si manifesta sul volto vuoto e tormentato dello scienziato. Mai lo sguardo lungimirante di Cillian Murphy è stato sfruttato meglio. Ma tutto il film nel complesso è imponente. La profondità dei dettagli è tale che sembra di poterci annegare dentro. Altrettanto interessanti sono i passaggi più astratti, in cui si ha la sensazione di avventurarsi nel cuore stesso dell’atomo.
Wendy Ide, The Observer
Stati Uniti / Regno Unito 2023, 180’. In sala
Francia 2023, 111’. In sala
Fondamentalmente La bella estate di Laura Luchetti, basato sul romanzo di Cesare Pavese, è incentrato sulla ricerca della libertà: da quello che il mondo si aspetta e dai limiti che noi stessi c’imponiamo. Il film è ambientato a Torino alla fine degli anni trenta, in pieno periodo fascista. Ma la politica rimane sullo sfondo, non interferisce con il viaggio della protagonista, Ginia (Yile Yara Vianello) che si è trasferita in città con il fratello Severino (Nicolas Maupas) in cerca di un futuro migliore. L’incontro fortuito con la modella Amelia (Deva Cassel) sconvolge la vita di Ginia. Se dopo un inizio promettente il film perde in termini di spirito e sensualità, guadagna in spessore grazie all’interpretazione di Vianello. Le fa buona compagnia Cassel, anche se a tenere tutto insieme è l’equazione tra Ginia e Severino.
Namrata Joshi, The New Indian Express
Francia / Senegal 2022, 109’. In sala
I celebri tirailleur, giovani arruolati nelle colonie e inquadrati nell’esercito francese durante le due guerre mondiali, sono stati sempre oggetto di un affetto paternalistico e condiscendente. La falsa innocenza di questa idealizzazione è polverizzata dalle prime scene del film d’esordio di Mathieu Vadepied. In Senegal il giovane Thierno è catturato e spedito in Francia nelle trincee del fronte orientale. Suo padre, Bakary, lo segue, deciso a salvarlo. Disorientati come lo spettatore, nel caos della guerra i due si ritrovano intrappolati tra una realtà brutale e l’irrealtà. Bakary si aggrappa al sogno di fuggire; il figlio, che parla francese, a quello di una carriera militare. In queste guerre individuali, Io sono tuo padre ricava il materiale per una favola impressionista in cui ognuno deve inventarsi un destino. Grazie soprattutto al generoso Omar Sy nel ruolo di Bakary, questo lontano passato risulta molto vivo e il film riesce a essere istruttivo ma anche emozionante.
Frédéric Strauss, Télérama
Lussemburgo 2022, 90’. In sala
Molti horror che raccontano le origini o la formazione di creature mostruose, ruotano intorno alle esperienze di un giovane mutante e ai cambiamenti del suo corpo. Wolfkin è diverso. Quando la madre single Elaine (Louise Manteau) e il figlio Martin (Victor Dieu), che sta cambiando molto velocemente, sono separati da una porta chiusa a chiave, la cinepresa rimane saldamente dalla parte della donna. È descritto il conflitto tra l’esistenza libera e piena del mostro, e i sistemi repressivi che vorrebbero forzarlo verso “l’umanità”. Ma sempre dal punto di vista di Elaine, una donna che più che la mostruosità del figlio cerca di accettare il suo ruolo di madre amorevole al suo fianco.
Kyle Logan, Chicago Reader
Articolo precedente
Articolo successivo
Inserisci email e password per entrare nella tua area riservata.
Non hai un account su Internazionale?
Registrati