The old oak è un tipico film di Ken Loach: schietto, arrabbiato, ideologico, magari non raffinato ma emotivamente travolgente. Siamo nel 2016, anno zero della Brexit, in una cittadina del nordest dell’Inghilterra segnato da una cupa disperazione e un crescente senso d’ingiustizia. L’arrivo di alcune famiglie di rifugiati siriani porta all’estremo le tensioni. Buona parte di queste si sfogano all’interno del fatiscente pub di Tj Ballantyne, dove un gruppetto di clienti abituali beve birra e vomita amarezza. Tj, un uomo per bene ma spinto anche lui al punto di rottura, fa amicizia con Yara, una giovane rifugiata. Insieme a lei e a un’operatrice umanitaria escogitano un piano per avvicinare le due comunità traumatizzate. Come sempre nei film di Loach il quadro morale è preciso. Ma c’è anche un appello a cuore aperto, diretto a tutti. E il messaggio finale di ottimismo è disperatamente necessario.
Wendy Ide, The Observer
Regno Unito / Francia / Belgio 2023, 113’. In sala
Stati Uniti 2023, 100’. In sala
Calvo, occhialuto, piegato dal peso di mille delusioni, Paul (Nicolas Cage) scopre che inspiegabilmente ha cominciato a comparire nei sogni delle persone. All’inizio in quelli di gente che conosce, ma presto anche di perfetti sconosciuti. L’autore norvegese Kristoffer Borgli infonde alla sceneggiatura una sorta di tristezza che mette in primo piano la necessità di riconoscimento da parte di Paul. Inizialmente è perplesso, poi compiaciuto e infine pietrificato, quando il film imbocca una strada oscura, i sogni si trasformano in incubi e Paul comincia a essere braccato dalle persone che lo sognano. Riflettendo sugli aspetti negativi della notorietà e sulla nostra aspirazione a raggiungerla a tutti i costi, Dream scenario è divertente e surreale, ma ha più idee che spazio e a tratti può disorientare. Evita di approfondire la cancel culture per concentrarsi sulla volubilità delle masse pronte a passare in un batter d’occhio dall’adulazione alla condanna anche di chi non ha fatto nulla.
Jeannette Catsoulis, The New York Times
Stati Uniti 2023, 165’. In sala
Come ha scritto Susan Sontag, non è scontato che da un grande romanzo venga fuori un grande film. Il film di Francis Lawrence, tratto dal prequel di Suzanne Collins del 2020, al massimo è una origin story del cattivo della serie, troppo poco spigolosa e superficiale. Coriolanus Snow (Tom Blyth), anni prima di diventare il presidente di Panem, è uno studente preoccupato di salvaguardare il buon nome della sua prestigiosa casata, che per la decima edizione degli Hunger games deve fare da mentore alla ragazza prescelta da un distretto poverissimo. Solo verso la fine – troppo tardi, e troppo poco, in quasi due ore e quaranta – il film ci fa intravedere il dittatore spietato che Snow è destinato a diventare. Anche se strappa qualche risata (soprattutto grazie ai personaggi interpretati da Jason Schwartzman e da Viola Davis), difficilmente questo prequel riuscirà a ridare slancio alla serie di Hunger games.
Hannah Flint, Empire
Stati Uniti 2023, 120’. Netflix
Gli autori sono specializzati in documentari su atleti e avventurieri che hanno spinto al limite il concetto di sopravvivenza umana. Coerentemente, anche nel loro primo lungometraggio hanno adattato l’autobiografia di Diana Nyad, una nuotatrice sulla lunga distanza che passati i sessant’anni decide di tentare la traversata da Cuba alla Florida, sostenuta dall’amica e allenatrice Bonnie Stoll. La storia è abbastanza avvincente e gli interpreti (non solo Annette Bening e Jodie Foster, ma anche l’affidabile Rhys Ifans) sono all’altezza. Però viene da pensare che, per quanto forse difficile da realizzare, Nyad sarebbe stato uno splendido documentario.
David Sims, The Atlantic
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