Un’avvertenza. Ci sono film – la maggioranza – che dopo una buona prima impressione, cominciano a svanire inesorabilmente appena lasciato il cinema. Poi ce ne sono altri – pochissimi – che da subito colpiscono come un fulmine e lasciano cicatrici permanenti, spostando per sempre il paradigma di visione. Il magistrale e agghiacciante La zona d’interesse, per me, fa parte della seconda categoria. Come concorderanno molti appassionati di cinema, l’esperienza rara fornita da questo tipo di pellicole è amplificata dal senso di scoperta che si ha quando non si sa niente del film che siamo andati a vedere. Quindi: i lettori che vogliono rimanere nella posizione privilegiata di non sapere nulla del film di Jonathan Glazer, possono tranquillamente mettere da parte questa recensione. Ma andiamo avanti. Probabilmente descrivere La zona d’interesse come un adattamento dell’omonimo romanzo di Martin Amis è fuorviante. In effetti il film è un’entità non convenzionale a sé, che con il libro di Amis condivide il titolo e il luogo di ambientazione: Auschwitz. O meglio la casa di un nazista di alto rango appena fuori dal muro di cinta del campo di sterminio. Rudolf Höss (Christian Friedel), sua moglie Hedwig (Sandra Hüller) e i loro cinque figli si godono sani e felici picnic in riva al fiume o idilliache giornate nel rigoglioso giardino della loro villa. Non vediamo mai oltre le mura che separano le amate rose di Hedwig dalla fabbrica di morte. Attraverso l’incredibile e coinvolgente sonoro curato da Johnnie Burn il rumore ambientale evoca gli orrori che avvengono all’interno del campo con un’intensità soffocante, così come sembra soffocante la cappa di fumo che si alza dai camini delle fornaci. A completare il corredo sonoro Glazer ritrova la compositrice Mica Levi, che con la sua colonna sonora accompagna inquietanti immagini notturne che ci fanno uscire dall’inconsapevolezza della famiglia Höss. Un’infinità di dettagli narrativi (per esempio il modo in cui il “lavoro” del padre influenza i giochi dei figli) completano il senso di terrore che permea l’intero film. Poco appariscenti ma impeccabili i due interpreti principali.
Wendy Ide, The Observer
Regno Unito / Polonia 2023, 105’. In sala
Stati Uniti 2024, 107’. In sala
Bob Marley era un enigma, un idealista affascinante e imperfetto, come tanti fuoriclasse. Nato in povertà a Nine Mile, in Giamaica, il giovane Marley non aveva una grandissima voce ma un desiderio ostinato di farsi ascoltare. Si è forgiato diventando la voce della sua isola e oltre. Dalla sua morte, nel 1981 a 36 anni, la sua eredità è stata passata al setaccio. La sua generosità ha bilanciato il suo atteggiamento nei confronti delle donne? L’infanzia difficile giustifica il fatto di essere stato un cattivo padre? I suoi proclami di pace e unità sono davvero serviti a qualcosa? E ha senso aspettarsi che l’abbiano fatto? Tutte queste domande sono in qualche modo pertinenti, ma la biografia frammentata e insoddisfacente Bob Marley. One love di Reinaldo Marcus Green non se le pone proprio. Si limita a glorificare il Marley dei poster. Se non altro, per chi non ha mai visto Bob Marley in azione, Kingsley Ben-Adir è una buona riproduzione.
Amy Nicholson, The New York Times
Stati Uniti 2024, 116’. In sala
Night swim sarà anche il primo film a mettere in scena una piscina stregata, ma la sua trama è totalmente intercambiabile con decine di horror di quel particolare sottogenere in cui padri amorevoli diventano cattivissimi dopo una possessione che ha a che fare con la compravendita di una proprietà immobiliare. In questo caso Wyatt Russell lotta per la vita contro una creatura demoniaca, e una goffa sceneggiatura, nei panni di un giocatore di baseball costretto al ritiro che si trasferisce in una nuova casa con la sua famiglia. Scopriranno nel modo peggiore che la piscina naturale nel giardino della casa potrebbe essere alimentata da una sorgente maledetta che esaudisce i desideri a caro prezzo. Cominciate a preoccuparvi se il vostro papà comincia a dire frasi tipo: “La piscina è la cosa più bella che mi sia mai capitata”.
Joey Shapiro, Chicago Reader
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