Nata nel Bronx da genitori portoricani, Alynda Segarra, voce del progetto Hurray for the Riff Raff, è stata allevata dagli zii finché, a diciassette anni, ha lasciato la città nel cuore della notte. Ha passato gli anni formativi della sua vita saltando sui treni, passando dagli spazi occupati alle comuni. Basta il titolo dell’album del 2014 Small town heroes, per capire dove risiedano le alleanze di Segarra, che è non binaria e sceglie di usare per sé il pronome neutro they/them. Ma le sue storie abbracciano varie parti dell’America. Mixato da Mike Mogis, già al lavoro con Bright Eyes e Phoebe Bridgers, The past is still alive è forse il suo lavoro migliore. È una cronaca astuta e umana della vita quotidiana statunitense, dalle vaste pianure di Santa Fe al ventre cosparso di eroina del Lower East Side di New York. Ci sono molte questioni sociali di ampio respiro in gioco – il crescente consumo di fentanil, il peggioramento della crisi climatica – ma arrivano nella musica come succede nelle nostre vite. Sono momenti frammentari, sparsi tra amicizie e shopping. Il disco dura solo 36 minuti e la maggior parte delle undici canzoni non supera i tre minuti e mezzo, ma l’immaginario è così crudo e le melodie così accattivanti che i brani sembrano lunghi il doppio. Un buon esempio è Buffalo, che esplora il tempo e la memoria attraverso la lente del bufalo estinto, scacciato negli anni del peccato originale americano. Oppure Colossus of roads, che affronta una sparatoria di massa avvenuta al Club Q di Colorado Springs. Tutto senza essere mai prevedibile. The past is still alive è un album straordinario, che raggiunge il risultato non facile di descrivere l’atmosfera di un’intera nazione mentre fa il ritratto accattivante di una sola persona.
Liam Inscoe-Jones, The Line of Best Fit
Sono successe tante cose dall’uscita dell’ultimo album della musicista britannica Nadine Shah, Kitchen sink del 2020, sia nel mondo sia nella vita dell’artista. Il suo nuovo disco Filthy underneath suona molto diverso dal precedente, ma possiamo dire che è alla sua altezza. Filthy underneath è legato in maniera indissolubile al contesto tormentato in cui è nato. In questi anni Shah ha tentato il suicidio, ha divorziato e si è presa cura della madre, malata terminale. Mentre elaborava tutta questa sofferenza, i suoi ascolti erano dominati dall’icona pop iraniana Googoosh, dalla cantante indiana Asha Puthli e dal glam rock. Queste influenze in particolare emergono e contribuiscono a rendere il disco qualcosa di unico. In Sad lads anonymous sembra che il parlato dei Dry Cleaning incontri l’immaginario di Sam Fender sulla provincia inglese. In See my girl Shah si fa più dolce e suadente quando ripensa alle foto che ritraggono lei e sua madre. In chiusura, con French exit la musicista parla del tentato suicidio; ci fa partecipi dei dettagli che costruiscono un quadro evocativo e nitido di quella serata. Filthy underneath non è un ascolto facile, ma senz’altro ricompensa lo sforzo.
Adam England, Diy
Il nome delle famose variazioni di Johann Sebastian Bach ha immortalato questo musicista, che altrimenti sarebbe una piccola nota a piè di pagina nella storia della musica. Ma a giudicare da queste sonate a tre, Johann Gottlieb Goldberg (1727-1756) non era lo scribacchino senza talento ritratto da alcuni dei primi biografi di Bach. È vero che questi pezzi non sono proprio perfetti, ma l’Ensemble Diderot li difende con amore. Il continuo è sempre sicuro, fondato sul violoncello solido ed espressivo di Gulrim Choï. Lo stile è molto ben controllato e il rapporto tra i due violini è ottimo. La sonata in si bemolle maggiore che chiude la serie mostra i musicisti e il compositore al meglio, con un paio di sorprendenti scossoni armonici.
Fabrice Fitch, Gramophone
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