La saga norvegese di Kristin Lavransdatter è fatta di centinaia di pagine di solitudine. La protagonista lotta per mantenere l’ordine sia nel regno terreno sia in quello celeste. La Norvegia del quattordicesimo secolo ricreata da Sigrid Und-set (Nobel per la letteratura nel 1928) non è così diversa da quella di oggi. Le uniche differenze sono negli oggetti di scena. Undset uccide gli uomini con un’accetta e tiene in considerazione la potenza di Dio più degli scrittori moderni, ma quelli che ci racconta, al di là del suo travestimento medievale, sono i dilemmi della “donna nuova”, creatura utopica dei primi del novecento. Kristin Lavransdatter richiama alla mente problemi che le donne continuano ad avere oggi. L’eroina Kristin è colei che infrange la legge: sceglie un fidanzato approvato dal padre ma poi sposa l’uomo che ama. Questo significa che non può più aspettarsi la pietà di nessuno. La prova della sua trasgressione è che il suo primo figlio, “il frutto del peccato”, nasce troppo presto e nella vergogna. Sarà un figlio ribelle. Kristin è consumata dall’eterno senso di colpa delle donne nonostante sia una moglie esemplare: ha fatto sette figli sani, ha fede in Dio ed è sempre cosciente dei suoi doveri. Ma non basta mai. Perché Kristin Lavransdatter ha voluto un uomo che ha osato sfidare apertamente la legge, un nuovo tipo di uomo per un nuovo tipo di donna più libera. Che dovrà aspettare parecchio, almeno settecento anni.
Ulrika Milles, Dagens Nyheter
Nell’originale tedesco questo romanzo s’intitola Vati, “papà”, un titolo fragile e quasi respingente per 172 pagine di tenerezza e amore. Se nel precedente romanzo, I Moosbrugger, Helfer si è occupata soprattutto della madre, ora si rivolge al padre, un uomo tranquillo fortemente segnato dalla guerra. Figlio illegittimo di una cameriera povera, riesce ad andare al liceo grazie all’aiuto di un notabile del suo paese. Come molti ragazzi della sua età viene spedito sul fronte orientale. Tornerà dalla Russia con una gamba sola. Avrebbe voluto studiare scienze, magari chimica, ma non ha potuto farlo a causa degli sconvolgimenti successivi al 1945. Allora diventa amministratore di una casa di riposo per vittime di guerra. Per i suoi figli questo significa idillio montano e isolamento. La pace dei monti però si spezza e finisce in tragedia. Raccontando la vita di Josef Helfer mette insieme frammenti del presente, flashback e digressioni. E la sua tristezza rimane leggera, quasi modesta.
Cathrin Kahlweit, Süddeutsche Zeitung
Il titolo di questo romanzo può suggerire l’idea di un atto d’accusa contro la cultura pop giapponese degli “idol”. Invece è la riuscita descrizione di un’adolescente ai margini della società che cerca di dare un senso alla sua vita. Akari Yamashita, la protagonista diciassettenne, illumina la pagina con una sua voce inconfondibile e originale. Per Akari le cose più semplici della vita di una teenager – andare a scuola o cambiarsi per la palestra – sono prove durissime da superare. La magia di Usami (che ha vinto il premio Akutagawa nel 2020 a soli 21 anni) sta nel saper distillare lo spirito adolescenziale; tra le prime recensioni in inglese del libro c’è chi lo paragona al Giovane Holden di J.D. Salinger. La voce della protagonista è molto personale ma anche universale, è un’adolescente qualunque che cerca disperatamente un senso nella confusione del ventunesimo secolo. Akari ovviamente trova se stessa online attraverso il fandom ossessivo per Masaki Ueno, un attore bambino diventato star del J-pop. Gestisce un seguitissimo blog dedicato al suo idolo ed esiste solo online in quanto sua fan. All’inizio del romanzo la vita della ragazza sembra in bilico quando arriva la notizia che Masaki avrebbe preso a pugni una fan. Lo scandalo esplode in una rissa al vetriolo tra fan e hater e Akari comincia a consumarsi vedendo crollare la sua reputazione digitale, scrupolosamente costruita. Per lei, come per tanta gente reale o immaginaria, non c’è lieto fine ma solo un barlume di speranza.
Kris Kosaka, Japan Times
La foresta del Nord vede il già noto scrittore e medico statunitense Daniel Mason esplorare il romanzo storico in modo assolutamente innovativo. La storia comincia negli anni sessanta del settecento, arriva ai giorni nostri e si spinge anche in un non ben specificato futuro. Al centro della vicenda c’è una casa giallo limone nel Massachusetts con un’alta porta nera che guarda “dove cade il sole”. La storia è narrata in frammenti che catturano la vita dei suoi abitanti: una giovane coppia fuggita da una colonia di puritani, nativi americani che difendono le loro terre e un soldato inglese che decide di abbandonare “l’odore della polvere da sparo” per occuparsi solo di mele. Ci sono anche sorelle gelose, un uomo impegnato in “affari del sud” (ovvero la cattura di uno schiavo fuggiasco) e un cacciatore che ingaggia un sensitivo per far riposare in pace i fantasmi. Mason racconta tutte queste storie attraverso un incastro di testi diversi – un libro sulla coltivazione delle mele, calendari, ballate, note a piè di pagina, lettere e richieste a un ente di storia patria. L’autore sembra proprio cucire insieme i suoi racconti e le sue fonti e tutto quello che fa è descrivere la storia di un piccolo fazzoletto di terra. È un libro coraggioso e originale, capace di inventare una nuova forma di racconto: è intimo ed epico allo stesso tempo, giocoso e serio. Leggerlo significa avventurarsi oltre i confini di ciò che può fare un romanzo.
Alice Jolly, The Guardian
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