Descrivere gli album di debutto come molto attesi è un’ovvietà, ma nel caso della londinese Fabiana Palladino è davvero così. Sono tredici anni che l’artista pubblica canzoni online e da sette ha un contratto con un’etichetta che, come lei, non sembra avere fretta. Anzi con la Paul Institute il suo lavoro si è diradato ancora di più, pubblicando una canzone all’anno mentre faceva la turnista per Jessie Ware, Sampha e Jai Paul, fondatore della sua casa discografica. La lunga gestazione di questo album è il risultato del perfezionismo della cantautrice che, da figlia del famoso bassista Pino Palladino, ha usato l’agenda di papà, assicurandosi la presenza di ottimi musicisti. Potrebbe sembrare nepotismo, se non fosse che questi dieci ottimi brani non sono certo merito dei collaboratori. La musica è ancorata alla metà degli anni ottanta senza però risultare mai un esercizio di stile retrò, perché Palladino spalma elementi caotici molto contemporanei, come synth stonati e distorsioni sporche. L’incertezza si trova solo nei conflitti narrati nei testi, perché per il resto questo è un disco senza debolezze, concepito da qualcuno che sa bene cosa sta facendo.
Alexis Petridis, The Guardian
Dopo anni di collaborazioni, l’album solista di debutto del musicista britannico Shabaka Hutchings è una suggestiva dichiarazione di moltitudine. Il titolo del disco, Perceive its beauty, acknowledge its grace, può sembrare imperativo, ma diventa rapidamente un invito a esplorare uno spazio interiore espansivo abitato dai vari strumenti e dalle voci dell’album. Nel pezzo Managing my breath, what fear had become l’invito viene esteso attraverso la voce di un narratore, ed è qui che l’album sembra un culmine di voci che brillano e porta l’ascoltatore a contatto con il proprio io. Il lamentoso flauto giapponese e la voce di Moses Sumney in Insecurities sono un rapimento ritmico a spirale. Body to inhabit invece, con quel contrabbasso, è un brano più classicamente jazz e si espande grazie al flauto di Shabaka, che per l’occasione ha abbandonato il sassofono. Al tutto si aggiunge un immenso elenco di collaboratori prestigiosi: Carlos Niño, André 3000, Esperanza Spalding, Floating Points, Laraaji, Brandee Younger, Elucid e Saul Williams. Questo debutto solista nasce da un’immensa e fruttuosa collaborazione. Un incontro tra persone, strumenti, melodie e spazi che offrono la possibilità di ascoltare, riflettere e trasformarsi.
Tommy Pearson, The Skinny
Alla guida dell’orchestra sinfonica della radio finlandese Nicholas Collon rade al suolo gli stereotipi e rivaluta radicalmente il Concerto per orchestra (1950-1954) di Witold Lutosławski. Il direttore libera la musica da accenti più o meno neoclassici, dimostra che non è affatto una brutta copia folclorizzante dell’omonimo lavoro di Bartók e ci restituisce tutta la sua purezza la sua luce cruda e la sua profonda originalità di capolavoro allo stesso tempo figurativo e astratto. La “gioia del suono” debussiana diventa così una lontana filiazione di Stravinskij e Varèse. Forse qualcuno troverà troppo retorico un approccio così articolato, ma è impossibile negare che la veemenza del discorso e il suo profilo movimentato sono frutti di un lucido progetto espressivo. La bella e potente Partita è una sorta di concerto camuffato. Qui al violino c’è Christian Tetzlaff, che suona in maniera energica e brusca, una scelta che dona più audacia al pezzo. La chiarezza solare delle cinque brevi sezioni di Novelette sfiora l’incandescenza. Un disco affascinante sia per il programma sia per le interpretazioni.
Patrick Szersnovicz, Diapason
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