Challengers è una versione stravagante e sexy del Racconto del cavaliere di Chaucer. Modernizzata: due uomini che duellano non con le spade ma con le racchette; e l’oggetto del loro desiderio non è una gentile fanciulla, ma una superstar del tennis, costretta al ritiro da un infortunio, amareggiata anche dalla consapevolezza che avrebbe potuto batterli entrambi. Quando, in un flash-back, Tashi (Zendaya) dice alla coppia di amici Patrick (Josh O’Connor) e Art (Mike Faist), due novellini abbastanza impresentabili che pendono dalle sue labbra, che il tennis è come “una relazione”, sembra un po’ un cliché. Ma ogni seducente inquadratura del film di Luca Guadagnino dimostra che è un cliché contro il quale siamo completamente indifesi. Challengers è un film intossicante. Guadagnino è un moderno maestro del desiderio. I suoi film suonano come una provocazione. Ma non perché cerca di disturbare il senso comune. Perché è capace di entrare nel cuore degli spettatori e stimolarlo nel profondo. Zendaya è quasi regale eppure, quando la sua ipersicurezza vacilla, si trasforma in qualcosa di brutale. Faist e O’Connor giocano sottilmente con i rispettivi personaggi. Tutti e tre insieme finiscono per dar vita a una guerra psicologica. È il film sportivo più avvincente degli ultimi anni.
Clarisse Loughrey, The Independent
Stati Uniti 2024, 131’. In sala
Francia 2023, 92’. In sala
Per il suo primo film, Léa Domenach racconta una storia di giocosa emancipazione, tutto per la gloria del suo soggetto, Bernadette Chirac, in cui “Maman” si libererà dall’ombra opprimente del marito Jacques, dalla benevolenza dittatoriale della figlia Claude e dal disprezzo della cricca politica che circonda il presidente per diventare popolare come Lady D. Articolando finzione e realtà, la regista immagina la riscossa di una donna (un po’ Bernadette ma non del tutto) uscita dall’ombra . Si avvale di episodi celebri e di elementi autobiografici per reinventare e rilanciare la sua eroina. La messa in scena è pop, anche se a momenti emerge la sofferenza di una moglie ingannata, la cui fedeltà è tuttavia incrollabile. La satira è tutto sommato innocua e il tenue fascino del film poggia in gran parte sul suo cast, a partire da Catherine Deneuve che diverte, senza cercare la mimesi.
Hélène Marzolf, Télérama
Francia 2024, 100’. In sala
Josette è una capra accusata di aver ucciso un maresciallo della corona. Il film è ambientato nel seicento, quando cose del genere potevano accadere. La povera capretta è difesa dall’avvocato Pompignac (Dany Boon), lo zimbello dell’osteria perché perde tutte le sue cause e i suoi clienti finiscono squartati, impalati, messi al rogo. Di fronte a lui il formidabile Valvert (Jérôme Commandeur), che fa di tutto per screditarlo. I due si scontrano in un tribunale improvvisato dove il popolo può dire la sua. Per questa commedia in costume la produzione non ha badato a spese. Ma manca il ritmo e mancano i colpi di scena che avrebbero potuto deviare da una trama fin troppo prevedibile e, alla fine, di basso livello. Se c’è un messaggio per i nostri tempi, stiamo ancora cercando di capire qual è.
Le Point
Belgio / Francia 2024, 98’. In sala
Burlesco e surreale, come tutti i film del duo belga Abel/Gordon, I misteri del bar Étoile ha come protagonista un barista solitario, ex attivista della lotta armata, che conduce una vita schiva, finché un cliente del bar lo riconosce. Comincia così il gioco intorno ai codici del film noir. Gli amici del barista individuano un suo sosia, Dom: lo rapiscono e lo trasformano in una specie di burattino per fargli prendere il posto del loro amico. Ma la moglie di Dom è una detective. Mondi marginali s’intersecano in un film un po’ troppo sdolcinato che vuole forzare le lacrime a tutti i costi. Non mancano però delle belle immagini, come quando una donna sprofonda in una poltrona a sacco, fino a scomparire.
Clarisse Fabre, Le Monde
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