Cultura Suoni
All born screaming
St. Vincent (Alex Da Corte)

Dopo il viaggio negli anni settanta con Daddy’s home, era inevitabile che Annie Clark sentisse di nuovo l’attrazione di sintetizzatori, chitarre sporche e modernixtà. Clark ha realizzato un disco più difficile del precedente, interamente autoprodotto e ispirato a un non meglio specificato trauma personale. Il folk rock britannico di Hell is near, in cui l’artista assume toni vocali in debito con Beth Gibbons, è un’apertura fuorviante. Nel secondo brano, Reckless, l’oscurità comincia a chiudersi, in una rappresentazione impressionistica del lutto. In Broken man, con le sue pulsazioni di sintetizzatori e la batteria sincopata di Dave Grohl, assume il ruolo di un macho che in realtà non è quello che sembra. Stilisticamente All born screaming oscilla follemente tra dream pop, prog, grunge, elettronica e industrial, creando un ascolto elettrizzante. La seconda parte del disco cerca la bellezza nel caos e nella tragedia. Sweetest fruit è un tributo all’artista elettropop scozzese SOPHIE, morta cadendo da un tetto ad Atene nel 2021 mentre cercava di fotografare la luna piena. Il supporto artistico viene dal bassista Justin Meldal-Johnsen (Beck, Nine Inch Nails) e da Cate Le Bon, che conferisce il suo tocco a una manciata di brani e guadagna un cameo vocale nella title track di quasi sette minuti, in cui lei e Clark sovrappongono una coda operistica a un ritmo da rave. Il finale dimostra ulteriormente che Clark ha un talento brillante e poliedrico.
Tom Doyle, Mojo

Diamond jubilee
Cindy Lee (dr)

Non succede spesso di ringraziare dio per l’esistenza di Twitter (non lo chiamerò mai in altri modi), perché a volte ci trovi tesori nascosti, come Diamond jubilee, disponibile solo su YouTube oppure su un sito antiquato. È una strategia promozionale? Oppure no? L’autore è Cindy Lee, il progetto in drag del musicista canadese Patrick Flegel, che l’ha composto e suonato tutto da solo. Il disco è un mix di stili e atmosfere. È come se fossero stati ritrovati dei vecchi nastri. Sicuramente c’è l’influenza dei primi girl group e i testi, che parlano di desideri e delusioni, sono cantati su armonie semplici e tormentate. Diamond jubilee è impregnato da riverberi simili a quelli di certi album degli anni sessanta. In due ore e una trentina di brevi canzoni, l’atmosfera sognante non s’interrompe mai. Se lo si toglie da questo suo mondo interiore non resta nulla, perché è questa la sua forza e la sua bellezza. Sono canzoni suonate a un ballo nelle profondità marine, dove la palla da discoteca gira in una sala quasi vuota.
Matt Hanson, The Arts Fuse

In venti cd questo cofanetto offre un ottimo panorama dell’universalità e della ricchezza dell’arte di Aaron Copland (1900-1990), che merita ben più dell’etichetta di “padre della musica classica statunitense”. Copland rimase tutta la vita avido di conoscenza e d’incontri, e fu anche un formidabile ispiratore per le nuove generazioni. Lo dimostra già il primo disco: ci sono il concerto per clarinetto, eseguito con il suo committente Benny Good­man, che mescola fino allo stordimento jazz e lirismo, il trio per piano e archi Vitebsk, ricco di radici ebraiche e russe, e il quartetto per piano, fusione originalissima di Schönberg e Stravinskij. Gli indimenticabili balletti, come Rodeo, Billy the kid e Appalachian spring, e altri pezzi emblematici, come Lincoln portrait (con Henry Fonda) o Fanfare for the common man, sono il cuore del suo repertorio sinfonico. Ma troviamo anche esempi della visione transfrontaliera dell’America del nord di Cop­land, dal New England al Messico e ai Caraibi, e pezzi più astratti, come Statements. Opere come la breve The tender land sono testimonianze del suo sforzo costante per una musica al servizio della comunità. Grazie anche a un bellissimo libretto, questo album ci restituisce una personalità generosa e di schiettezza entusiasmante.
Thomas Deschamps, Classica

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1561 - 3 maggio 2024

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