All’inizio degli anni ottanta dell’ottocento, Brynhild Størset, una povera ex cameriera norvegese, parte per l’America alla ricerca di una nuova vita. Dopo aver vissuto qualche tempo con la sorella a Chicago sposò un norvegese, Mads Sørensen, e lo uccise. Poi sposò un altro norvegese, Peder Gunness, e uccise anche lui. Dopo cominciò a mettere annunci matrimoniali alla ricerca di altri uomini da uccidere: arrivò ad ammazzarne una trentina, facendoli a pezzi e seppellendo i resti in giardino. Questa è la sanguinosa storia del personaggio noto come, “La prima serial killer d’America”, Lady Barbablù o la principessa dell’inferno. La scrittrice norvegese Victoria Kielland riprende questa storia scioccante e la racconta da una nuova angolatura. Conosciamo la govane Brynhild a 17 anni mentre viene presa, la faccia premuta contro il cuscino, da Firstborn, il figlio di un suo ricco datore di lavoro. Quando lei gli dice di essere rimasta incinta, lui la prende a calci fino a farla abortire.I miei uomini però non cerca di capire le cause che hanno portato Brynhld a uccidere, ma analizza una serie di forze interiori (la rabbia, la paura, la vergogna, il desiderio, la solitudine e la fede estatica di agire per conto di Dio) che hanno contribuito alla sua degenerazione mentale. Carys Davies, The Guardian
La narratrice del nuovo romanzo di Catherine Lacey è una giornalista di nome C.M. Lucca che negli anni ottanta lavorava in un giornale di New York che ricorda molto il Village Voice. C.M. ha un tono distaccato e un’intelligenza solitaria: lei stessa è uno spirito solitario. Quando era giovane si era sposata con uno scultore chiamato Henry. “Non t’innamorare mai di un artista”, pare abbia detto Patricia High-smith. “Quando si mettono a lavorare faranno finta di non conoscerti e ti sbatteranno fuori”. Henry non ha mai sbattuto fuori C.M., ma quando lei lo lascia per sposare X – una performance artist dai versatili talenti – i dolori e le umiliazioni si susseguono. Biografia di X reimmagina il secolo americano seguendo la nostra eterna fascinazione per la scena artistica newyorchese tra gli anni settanta e il 1995. È un libro non facile da descrivere. Sicuramente è un romanzo che parla di biografie in conflitto tra loro. X non voleva che dopo la sua morte qualcuno scrivesse la storia della sua vita ma era inevitabile che qualcuno lo facesse. Questo è un romanzo importante e molto audace. Un romanzo sull’affrontare e accettare cose che non avresti voluto mai sapere.
Dwight Garner, The New York Times
Caroline O’Donoghue è un’arguta opinionista irlandese ed è la voce di un podcast intitolato Sentimental garbage (immondizia sentimentale) dedicato “a una cultura che amiamo ma di cui la società a volte vorrebbe ci vergognassimo”. La vergogna è anche uno dei temi intorno a cui ruota il suo romanzo, La variabile di Rachel. La storia è basata sulla sua stessa esperienza di passaggio dalla vita studentesca a quella professionale. Sebbene la vicenda parta nel 2022, la maggior parte dei fatti risale al 2010, piena di rimpianti e illuminata dalla nostalgia. O’Donoghue sa descrivere con efficacia la vita tumultuosa di una ragazza che sta lottando per capire chi sia veramente. “Non so chi cercassi d’impressionare”, dice Rachel, la protagonista, “non volevo un fidanzato; volevo una storia d’amore. Volevo passione; non volevo sembrare una tipa troppo facile. Morivo dalla voglia di essere toccata; ed ero terrorizzata all’idea di rovinarmi”. Questo stato d’animo conflittuale – moderno ma allo stesso tempo un po’ vittoriano – descrive bene i tempi in cui viviamo . È la complessità sociale che rende una divertente commedia satirica qualcosa di profondamente soddisfacente.
Ron Charles, The Washington Post
Per favore non chiamate Douglas Coupland la voce della sua generazione, anche se è un’etichetta davvero difficile da staccargli di dosso nelle interviste, sui giornali, nelle recensioni entusiastiche. Generazione X (uscito originariamente nel 1991, ndr) è il suo primo romanzo, un asciutto e sorprendente ritratto di quel gruppo di persone sempre più sconsolate nate tra il 1961 e il 1971. A volte le chiamano la generazione perduta, a volte baby busters, come opposizione di baby boomers. Comunque vogliate chiamarla è una generazione di giovani adulti post-anni ottanta a cui è stato dato non solo un piatto vuoto, ma un piatto senza nessuna possibilità futura. I baby boomer gli hanno preso tutto: i buoni posti di lavoro, le belle case e la buona sorte. La generazione X non ha un lavoro, al massimo ha un McLavoro (“basso salario, basso profilo, pochi benefit, poco futuro”), fa parte del jet-set della povertà (ha viaggiato molto ma rimane squattrinata), è ironica per riflesso condizionato e non crede che il futuro sia migliore del presente. È una generazione bombardata d’informazioni che fa fatica a filtrare. Nel romanzo Andy, Claire e Dag sono fuggiti a Palm Springs, dove se ne stanno seduti davanti al loro bungalow a bere troppi gin tonic e raccontarsi storie. Il fallimento morale dei baby boomer è un tema ricorrente. Per esempio la storia di Dag racconta di come abbia abbandonato qualunque ambizione di carriera dopo aver fatto una sfuriata al suo capo “con quello stramaledetto codino”, un simbolo del suo essere un ex hippy venduto al capitale. Dag gli ha urlato: “Pensi che siamo così contenti di sentirti parlare della tua nuova casa da un milione di dollari quando noi, a quasi trent’anni, possiamo permetterci solo un panino con la sottiletta nelle nostre stanze minuscole?” . Il romanzo all’inizio era stato concepito come una serie di piccole storie presentate come se fossero le voci di un manuale, una guida ragionata attraverso gli alti e i bassi della generazione X. Ma mentre scriveva Douglas Coupland si è accorto che stava prendendo forma un romanzo e aveva paura che la casa editrice lo avrebbe rifiutato. “E invece”, ha detto, “la parte più giovane dello staff mi ha sostenuto strenuamente. È a loro che devo tutto”. Robin Abcarian, Los Angeles Times (1991)
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