Per Jean Roscoff il futuro non è radioso. È un ex accademico di 68 anni, di matrice mitterrandiana, mollato dalla moglie e detestato dalla figlia. Beve molto ma l’alcol non lo aiuta ad affrontare la sua angoscia esistenziale. Era stato uno studente di sinistra all’École Normale Supérieure, un attivista di Sos-Racisme, sempre dalla parte giusta della storia… Da quando la sua vita ha cominciato ad andare a rotoli? Ora tutti ne parlano come di un vecchio maschio bianco privilegiato e dominatore anche se lui si chiede chi potrà mai dominarlo, con la sua pancia prominente e i suoi doposbronza letali. Per recuperare un po’ si era messo a lavorare alla biografia di Robert Willow, un poeta americano poco noto che viveva a Étampes e che morì in un incidente d’auto negli anni sessanta. Peccato che Robert Willow fosse nero e che lui, nel suo universalismo, abbia omesso quel dettaglio. Roscoff è accusato di neocolonialismo e attaccato da tutte le parti. Il talento di Abel Quentin consiste nel servirsi del romanzo per mettere a confronto le idee più diverse senza esprimere la propria. Erede di Balzac, Quentin ha più di un asso nella manica.
Louis-Henride La Rochefoucauld, L’Express
Dimenticare e ricordare sono i grandi temi dello scrittore olandese J. Bernlef che ha lasciato un segno importante nella letteratura dei Paesi Bassi con la sua scrittura frugale. Per molti anni ha lavorato nell’ombra. Poi, nel 1984, ha avuto un inatteso successo con Chimere. Raramente l’universo di un uomo che soffre di demenza è stato descritto in modo così empatico. La forza di questa delicatissima operazione letteraria sta nell’uso della prima persona, con cui Bernlef riesce a rendere quasi tangibile, materiale, l’accumulo di confusione innescato dalla malattia. Negli anni il libro è diventato un documento importantissimo sull’alzheimer, un romanzo solidissimo e apprezzato e un ardito esperimento linguistico. Marteen Klein, il protagonista, ha 71 anni ed è da poco andato in pensione. Ha appena il tempo di assaporare le piccole gioie della vecchiaia che il suo mondo comincia ad andare in pezzi. Il lettore non capisce bene cosa stia succedendo finché Marteen non comincia a ripetere le cose. Passato e presente si sovrappongono: Marteen vuole tornare al lavoro e confonde sua moglie Vera con sua madre. E poi c’è quell’onnipresente paesaggio innevato: una metafora della coscienza del protagonista sempre più ovattata. Le capacità linguistiche del narratore si disintegrano pagina dopo pagina finché non rimangono solo frammenti e la confusione è totale. In un’intervista del 1986 Bernlef ha detto: “Il paradosso è che il libro finisce nell’oblio totale, ma il risultato, ovvero il libro stesso, è, come tutti i libri, un modo di fissare la memoria per sempre. E nulla di quello che c’è scritto può andare perduto”. Dal romanzo è stato tratto un film di Heddy Honigmann nel 1987 e nel 2006 è stato adattato per il teatro con la regia di Guy Cassiers.
Dirk Leyman, De Morgen
I romanzi che parlano di precarietà rischiano di essere a loro volta precari. Troppi debutti letterari recenti pretendono di catturare cosa significhi essere giovani in quest’epoca di crisi incrociate e finiscono però per raccontare esperienze molto particolari e molto poco universali. Vicino a casa, il tesissimo e notevole debutto di Michael Magee non cade in questa trappola. Il romanzo descrive un periodo di riassestamento per Sean, un ventenne un po’ taciturno che torna a Belfast dopo l’università. Nella sua città ritrova ciò che aveva lasciato: povertà, droga, violenza insensata e trauma. Sean passa le sue giornate bevendo e sniffando, combattendo con la sua mascolinità e perdendo un lavoro dopo l’altro, sperando in chissà quale cambiamento futuro. Se tutto questo vi sembra pesante è perché lo è. Non ci sono soluzioni facili. Vicino a casa è un libro che parla di stanchezza, repressione emotiva e dei nostri modi sbagliati di amarci. La trama è semplice – un processo dopo una rissa, una storia d’amore che nasce, gli effetti indelebili delle violenze subite da piccoli – ma è appassionante per la sua incrollabile empatia psicologica. Magee sa descrivere in maniera assolutamente magistrale la tenerezza.
Keiran Goddard, The Guardian
Il Sole è sparito, lasciando solo un pallido buco lì dove brillava un tempo. Connor descrive la sua mancanza come “un’accecante assenza grigia”. Alla gente non sembra importare molto : “Vanno al lavoro, si tagliano le unghie e fanno il bucato”. Forse è la carenza di vitamina D a renderli così indifferenti. Non sapendo che altro fare il nostro narratore (che rimane senza nome fino quasi alla fine) parte in auto per Phoenix. Il Sole, secondo le sue ricerche, dovrebbe nascondersi lì da qualche parte. Anzi lui ha proprio le coordinate esatte che portano a un punto decisamente banale della città. Come in tutti i romanzi on the road il narratore incontra diversi personaggi interessanti e il romanzo è un esercizio di esplorazione del potere della memoria. Il Sole che sparisce è soprattutto una metafora della perdita. Il protagonista ha perso il suo vero amore e da bambino aveva perso la madre che, come il Sole, è semplicemente scomparsa. Questo è un romanzo speculativo che tende al fantastico e Connor fa un meraviglioso lavoro nel descrivere lo strano viaggio del suo protagonista.
Chris Rutledge, Washington Independent Review of Books
Articolo precedente
Articolo successivo
Inserisci email e password per entrare nella tua area riservata.
Non hai un account su Internazionale?
Registrati