Questa raccolta di sessanta racconti è il primo lavoro di narrativa in dieci anni del canadese Douglas Coupland (famoso per il suo esordio del 1991 Generazione X). Anche se sto ancora cercando di capire in che senso possano “rivoluzionarmi il cervello”, so che sono sessanta micro-trame più o meno legate tra loro che formano una sorta di affresco unitario degli aspetti più curiosi del nostro mondo iperconnesso e ipertecnologizzato. Ognuna di queste storie apre e chiude un semplice e brevissimo arco narrativo in cui si svela un personaggio. Alcuni di loro parlano in prima persona e si rivolgono direttamente al lettore, un buon trucco retorico per coinvolgerci nel loro pensiero. Oxy, per esempio, si apre con questa domanda memorabile: “Avete mai provato a commissionare un omicidio? Siate sinceri”. E Nike pone un’altra domanda inquietante: “Siate onesti: vi è mai capitato di desiderare di trovare un cadavere sulla battigia passeggiando su una spiaggia?”. Coup-land ha talento per gli incipit. Ed è talmente bravo a creare personaggi da farci dimenticare che si tratta di finzione, da farci credere che siano persone vere che pensano, parlano e agiscono in un mondo pervaso dalla tecnologia. Ognuna di queste micro-trame ha una sua dimensione che ci permette di attaccarci brevemente ai personaggi, in certi casi di sviluppare con loro una certa empatia. Ma mai troppa perché la loro caratteristica è la fuggevolezza.
Peter Babiak, The British Columbia Review
Olga muore sognando è un debutto letterario che parla d’identità, etnia e di potere delle élite e marginalizzazione dei poveri. Due fratelli portoricani di New York, Olga, una wedding planner di successo, e Prieto, un deputato del congresso, si scontrano con un sistema ostile e corrotto nella loro corsa verso il sogno americano. Olga vorrebbe diventare “la Martha Stewart portoricana” , ma rimane sfiancata nella corsa a perdifiato verso il denaro e “il suo cugino fantasma… la fama”. Prieto entra in politica per proteggere la sua comunità ma ha successo solo perché “è bello e bravo a parlare… il perfetto balsamo per il senso di colpa bianco”. Politicamente ingenuo – i suoi lo chiamano Pollyanna – Prieto si trova ricattato dai palazzinari che vogliono gentrificare la zona. I due fratelli continuano a cercare l’approvazione della madre, un’attivista che li ha abbandonati da piccoli per combattere per l’autodeterminazione di Puerto Rico. Il padre era morto di aids poco dopo, un reduce del Vietnam tossico che non aveva voluto unirsi alla militanza della moglie. L’autrice riveste con una prosa avvincente la sua polemica contro un paese in cui le tovaglie di un pranzo di matrimonio valgono più della vita umana. Romanzo ricco di sfumature, accende un faro sulla corruzione e sui limiti del capitalismo. È anche uno studio sulle conseguenze psicologiche di aver avuto dei pessimi genitori e una tenera esplorazione dell’amore in ogni sua forma.
Lucy Popescu, The Guardian
“Sto per rapire una bambina. Cerco di allontanare il pensiero, ma continua a stare lì mentre scendiamo con l’ascensore, salutiamo Chico, usciamo dal portone”. Questo è l’incipit di La suite della scrittrice brasiliana Giovana Madalosso sul rapimento della piccola Cora commesso dalla sua bambinaia, Maju. I genitori della bambina, Fernanda e Cacá, ci mettono un po’ a capire che la figlia è scomparsa. Lei è impegnata con il suo lavoro e accarezza l’idea di farsi una storia con un’altra donna. Lui è meno ambizioso e delega tutto a lei. La trama del romanzo è l’incubo di qualunque madre, ma la sua grande forza sta nel modo in cui si dipana toccando con agilità temi come le convenzioni sociali, i problemi emotivi e le tensioni di classe. A parlare in prima persona sono le due protagoniste: Maju, la bambinaia rapitrice, e Fernanda, la madre. Hanno due personalità diverse, ognuna parla la propria lingua e ha una propria visione del mondo ma entrambe hanno paure, aspettative e un certo senso dell’umorismo. Potete aprire una pagina a caso e capire chi delle due stia parlando. Il colore della loro pelle non è mai esplicitato ma il divario sociale tra le due è sottolineato nell’alternanza dei capitoli. La ragione per cui Maju rapisce la bambina è rivelata solo al termine, ma fino a quel momento il libro è metà storia d’amore on the road e metà frenetico inseguimento.
Teté Ribeiro, Folha de São Paulo
“Per la popolazione sami le renne non sono solo animali. Sono la vita”, così dice la scrittrice svedese Ann-Helén Laestadius che con il suo romanzo La ragazza delle renne racconta come per i sami uccidere una renna non sia solo un delitto contro la proprietà ma un crimine contro tutta la comunità. Questo libro è anche una dura lezione per gli svedesi che, grazie al successo avuto in patria, stanno venendo a conoscenza della violenza della loro colonizzazione dei sami. Il romanzo comincia con Elsa, una bambina sami di nove anni, che assiste all’uccisione di un cucciolo di renna. Crescendo, il trauma di quel momento unito ad altre brutalità che subisce – bullismo, il suicidio di un amico, l’inacapacità della polizia di scoprire chi vada in giro a uccidere sempre più renne – si trasforma in rabbia. Anche se La ragazza delle renne è un romanzo, molti sami l’hanno trovato una descrizione finalmente fedele della loro difficile realtà.
Lisa Abend, The New York Times
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