Alle 2.20 del mattino del 18 marzo, ora locale nella Striscia di Gaza, gli Stati Uniti hanno inaugurato una nuova era nella politica mondiale. In quel momento Israele ha coordinato i suoi attacchi contro decine di obiettivi nel territorio palestinese per farli coincidere con il suhur, il pasto consumato prima dell’alba dai musulmani in preparazione al digiuno quotidiano del Ramadan. La tempistica era studiata per infliggere il massimo numero di vittime civili, mentre le famiglie in tutta la Striscia si riunivano per mangiare e pregare durante il mese sacro, anche se avevano poco o nulla da mangiare.

I massicci attacchi simultanei su cento località hanno raggiunto l’obiettivo, superando in una sola notte tutte le azioni di insensata carneficina compiute dalle forze israeliane nei quindici mesi di guerra a Gaza. Secondo le autorità sanitarie della Striscia, nella notte del 18 marzo e nelle quarantotto ore successive sono stati uccisi 970 palestinesi, tra cui più di 170 bambini. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ottenuto il via libera da Wash­ington prima di lanciare gli attacchi. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha così sancito l’inizio di una nuova era nella politica globale dando il suo consenso a un’ondata di attacchi che ha infranto ogni clausola dell’accordo di tregua, firmato in presenza di garanti internazionali. Con un solo gesto, Trump ha trasformato l’occidente, che il suo paese sostiene di guidare, in un far west. D’ora in poi, nessun trattato, cessate il fuoco o accordo internazionale scritto e firmato dagli Stati Uniti avrà alcuna validità.

Non è un caso

Il presidente che aveva promesso di fermare tutte le guerre ha invece lanciato o permesso attacchi aerei contemporaneamente nello Yemen, a Gaza, in Libano e in Siria, e promette che scatenerà l’inferno contro l’Iran se non si sottometterà alle sue richieste. Un presidente degli Stati Uniti che aveva detto alle famiglie degli ostaggi israeliani di fare tutto il possibile per riportarli a casa vivi, ha permesso a Tel Aviv di applicare la sua direttiva Hannibal (una procedura che autorizza l’uso della forza per impedire il rapimento di soldati israeliani, anche a costo della loro vita) contro la ventina di ostaggi che, prima degli attacchi del 18 marzo, si presumeva fossero ancora vivi. Se Israele si comporta così, quale sarebbe l’incentivo per Hamas a mantenere vivi gli ostaggi rimasti?

Dal punto di vista di Netanyahu la tempistica degli attacchi era cruciale, per più ragioni. Il 18 marzo avrebbe dovuto presentarsi in tribunale e rispondere di diverse accuse di corruzione, che stanno stringendo un cappio sempre più stretto intorno al suo collo politico. La ripresa della guerra gli ha fornito una scusa per non andarci. Come ha scritto Ahmad Tibi, deputato arabo-israeliano: “Non è un caso che il bombardamento del 18 marzo arrivi prima di un voto fondamentale sul bilancio, con i parlamentari ultraortodossi che minacciano di far cadere il governo se non sarà approvata una legge per esentare la loro comunità dalla leva militare, e con l’ex ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir che lancia ultimatum sul suo sostegno alle misure economiche”.

Bezalel Smotrich, ministro delle finanze e leader del partito estremista Sionismo religioso, ha sempre avuto ragione quando assicurava che Netanyahu avrebbe ripreso la guerra a Gaza e il 18 marzo ha detto che le famiglie degli ostaggi sono state “ascoltate troppo” rivolgendosi ad Ayala Metzger, nuora di Yoram Metzger, ucciso mentre era ostaggio di Hamas. Metzger ha risposto: “Pensavamo di servire nell’esercito israeliano e non nell’esercito della vendetta di Dio. In questo preciso istante stiamo uccidendo ostaggi, e c’è un accordo sul tavolo”. Ma per i simpatizzanti di Sionismo religioso, che ora costituiscono il gruppo più potente in Israele, l’offensiva su Gaza ha proprio a che fare con l’esercito della vendetta di Dio. Hanno fatto di tutto per trasformare una disputa sulla terra in una guerra di religione. Per anni hanno spinto la polizia ad attaccare i fedeli nella moschea Al Aqsa durante il Ramadan, incoraggiando di fatto Hamas a organizzare gli attacchi del 7 ottobre 2023, che la milizia ha chiamato operazione diluvio di Al Aqsa. Hamas è considerato un’organizzazione terroristica da Regno Unito e altri paesi.

Come una mafia

Anche i nemici più acerrimi possono concordare una tregua durante le festività religiose. Ma Israele il 18 marzo non solo ha violato un cessate il fuoco che aveva firmato, ha addirittura preso di mira i fedeli riuniti per compiere un rituale religioso. Se Israele si considera un avamposto coloniale circondato da musulmani, allora il tentativo di trasformare il conflitto in una guerra religiosa rappresenta una follia suicida. La fiamma che ha acceso nei cuori di tutti i musulmani sarà difficile da spegnere. Sarà altrettanto difficile, se non impossibile, per i sopravvissuti dell’attacco immaginare un futuro comune con gli ebrei israeliani, che sia in due stati o in uno solo.

Nonostante le azioni del 7 ottobre, Hamas resta, secondo la maggior parte degli analisti militari, una milizia disciplinata che rispetta i patti. È Israele che si sta comportando come una forza del terrore indisciplinata, violando ripetutamente un accordo riconosciuto al livello internazionale. Anche prima dell’attacco del 18 marzo, aveva già ucciso più di 150 palestinesi nella Striscia di Gaza durante il cessate il fuoco. Non ha avviato i colloqui per la seconda fase il sedicesimo giorno della prima fase, come previsto. Non ha rispettato il suo impegno di ritirarsi dal corridoio Filadelfi. Ha ritardato di una settimana il rilascio dei prigionieri palestinesi.

Israele si è comportato come una mafia, tentando di costringere Gaza ad accettare un accordo completamente diverso. Ha formulato una proposta, affidata a Steve Witkoff, inviato speciale degli Stati Uniti per il Medio Oriente, chiedendo che Hamas rilasciasse undici ostaggi vivi e metà di quelli morti in cambio di un cessate il fuoco di 50 giorni. Un patto completamente diverso rispetto a quello negoziato per mesi dai mediatori di Egitto e Qatar.

Secondo il quotidiano israeliano Maariv, gli attacchi a sorpresa del 18 marzo erano stati pianificati da tempo dall’esercito e dallo Shin bet, i servizi segreti interni. L’obiettivo era colpire quanti più affiliati di Hamas possibile, come era stato fatto con il comando di Hezbollah all’inizio della guerra in Libano. “La missione dello Shin bet e dell’aeronautica israeliana era di sganciare centinaia di bombe simultaneamente dove erano stati localizzati gli affiliati di Hamas a Gaza”, si legge su Maariv. “Alle 2.20 è stato dato l’ordine”. Non si sa ancora quanti leader di Hamas siano stati uccisi, ma un attacco simile difficilmente potrà funzionare.

Ultime notizie

◆ I bombardamenti ripresi il 18 marzo 2025 hanno ucciso in due giorni 970 palestinesi. Il 19 marzo l’esercito israeliano ha annunciato inoltre di avere lanciato “operazioni terrestri mirate” nel centro e nel sud della Striscia di Gaza. I soldati hanno anche ripreso il controllo del corridoio Netzarim, che divide in due il territorio. Migliaia di persone sono fuggite di nuovo dal nord della Striscia. Hamas ha detto di essere disponibile a riprendere i negoziati con Israele, chiedendo però il rispetto dell’accordo originario sulla tregua. Afp


Hamas non è Hezbollah, e ha un forte senso di identità che gli permette di sostituire i leader rapidamente. Anche l’attacco alla leadership di Hezbollah non ha avuto effetti noti sulla capacità della milizia di resistere all’invasione terrestre in Libano, riuscendo a tenere le forze d’élite israeliane bloccate a pochi chilometri dal confine. Hamas non ha problemi di reclutamento e può sostituire i combattenti più velocemente di quanto sia capace di ucciderli l’esercito israeliano. Questa capacità è stata riconosciuta dagli stessi generali israeliani. Anzi, un attacco come quello del 18 marzo rappresenta la campagna di reclutamento più grande che Hamas potesse sperare: la ripresa della guerra difficilmente infliggerà un colpo mortale all’organizzazione nel suo insieme. Né, secondo le prove attuali, cambierà la determinazione dei palestinesi di Gaza a rimanere sulla loro terra. Una giovane donna a cui sono stati uccisi i figli e il marito ha detto: “Dio te la farà pagare Netanyahu. Sono una madre con il cuore incendiato dal dolore. Che Dio faccia bruciare il tuo cuore per i tuoi figli, Netanyahu. Dove sono gli arabi? Stanno solo a guardare”.

I vicini arabi della Palestina non sono i soli a stare con le mani in mano. L’Europa e il Regno Unito, impegnati a sfidare il piano di Trump per spartire l’Ucraina con il presidente russo Vladimir Putin, non stanno facendo assolutamente nulla per fermare la carneficina a Gaza. Anzi, Gaza si sta rivelando un rito di passaggio indispensabile per la credibilità del premier britannico Keir Starmer. Se Netanyahu non avesse lanciato il suo attacco a sorpresa, Starmer avrebbe accolto a braccia aperte il ministro degli esteri israeliano Gideon Saar, esponente del gabinetto che ha votato per interrompere la fornitura di acqua ed elettricità a Gaza e che si oppone alla creazione di uno stato palestinese. Il Regno Unito di Starmer è complice nel consentire a Israele di commettere un genocidio a Gaza. La sacralità del diritto internazionale non significa più nulla per l’ex avvocato che aveva costruito la sua reputazione sulla difesa dei diritti umani.

Ma questa non è la fine della storia, né l’epilogo della scalata e della caduta di Starmer. Né Hamas, né tantomeno i palestinesi di Gaza, spariranno presto come farebbe comodo a qualcuno. Gaza potrebbe rivelarsi per Starmer quello che la guerra in Iraq è stata per la sua guida e mentore Tony Blair: il colpo di grazia al suo mandato da primo ministro. Entrambi i leader laburisti hanno usato la guerra in un paese musulmano come dimostrazione di coraggio politico. Entrambi hanno creduto che il bellicismo fosse un biglietto d’ingresso automatico nel club d’élite dei leader mondiali. Ma per Starmer, come per Blair, la guerra sarà la sua rovina.

Per chiunque si troverà a raccogliere i cocci lasciati dalle macerie dell’epoca Trump, il ruolo dell’occidente come guida morale del mondo è perduto per sempre. L’occidente ha abdicato volontariamente a quel ruolo, al prezzo di migliaia di vite palestinesi e musulmane. ◆ fg

David Hearst è cofondatore e direttoredi Middle East Eye, un sito indipendentedi analisi sul Medio Oriente.

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Questo articolo è uscito sul numero 1606 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati