La regione dei Grandi laghi è storicamente una zona di conflitti. Fin dalla metà degli anni novanta l’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) è stato al centro di violenti scontri tra milizie armate congolesi e straniere, che hanno provocato più di sei milioni di morti e circa due milioni di sfollati e profughi. Ad aprile del 2022 una trentina di rappresentanti del governo di Kinshasa e dei gruppi armati delle province dell’Ituri, del Nord Kivu e del Sud Kivu si sono incontrati a Nairobi, in Kenya. La milizia M23, sostenuta dal Ruanda e al centro delle tensioni tra i due paesi, ha abbandonato i colloqui, rallentando i negoziati di pace.

Il conflitto nell’Rdc è complicato. L’M23 ha approfittato dell’incapacità di Kinshasa di controllare il suo territorio, ha compiuto orribili violenze contro la popolazione locale e ha sfruttato l’abbondanza di minerali nella regione in cui agisce (il 12 giugno ha preso il controllo di una cittadina di frontiera, Bunagana). La milizia è formata da congolesi di etnia tutsi chiamati banyamulenge, che ricevono sostegno militare dal governo ruandese di Paul Kagame.

Con l’adesione ad aprile all’East african community, un’organizzazione intergovernativa regionale, l’Rdc sperava che un impegno dei paesi dell’area potesse portare la pace nei Grandi laghi. Ma non è successo, perché il Ruanda non vuole disarmare i miliziani dell’M23. Kigali ha usato il gruppo ribelle per combattere un conflitto per procura. La sua funzione è fare da cuscinetto contro gli attacchi di quel che resta degli ex ribelli hutu, gli interahamwe, che agiscono nella regione dei Grandi laghi. Questi ex ribelli erano i leader degli squadroni della morte filogovernativi che fuggirono nell’Rdc quando il Fronte patriottico del Ruanda, guidato dai tutsi, salì al potere nel 1994, mettendo fine al genocidio.

Il bastone e la carota

L’attuale ondata di uccisioni compiute dall’M23 nell’Rdc può attribuirsi a due fattori. Da un lato, la milizia usa la violenza per ottenere un potere di contrattazione in vista dei colloqui di Nairobi, mediati dal presidente keniano Uhuru Kenyatta. Dall’altro, tenta disperatamente di consolidare il controllo su giacimenti minerari redditizi, in previsione dell’invio di ulteriori forze militari dall’East african community.

La missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite nell’Rdc non è riuscita a migliorare la situazione in termini di sicurezza né a disarmare i ribelli dell’M23. Il governo congolese, d’altra parte, è troppo debole per sconfiggere militarmente i ribelli, mentre il Ruanda è libero di decidere il destino della regione dei Grandi laghi.

Il successo dei colloqui di pace dipenderà dallo sforzo di tutti i vicini dell’Rdc per incoraggiare il Ruanda a tenere a bada la recalcitrante milizia. Nei colloqui bisognerà usare il bastone e la carota, per esempio concedendo l’amnistia ai ribelli che deporranno le armi, in cambio dello schieramento di una forza regionale di mantenimento della pace. Inoltre, Kinshasa dovrà integrare l’M23 nell’esercito regolare e garantire incarichi politici ad alcuni rappresentanti della milizia. Dall’altro lato dovrebbero essere previste sanzioni per le violazioni del cessate il fuoco e azioni penali per chi riprende a combattere. La Repubblica Democratica del Congo non può sconfiggere militarmente l’M23, ma può incoraggiare il gruppo ribelle a deporre le armi per il bene del paese, della stabilità regionale e per la prosperità di tutta la popolazione. ◆ fdl

David Monda insegna scienze politiche alla City university di New York.

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Questo articolo è uscito sul numero 1465 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati