A poca distanza da Vilakazi street, dove si trova la vecchia casa di Nelson Mandela, oggi trasformata in un museo-mausoleo, Kenneth Khoza va in cerca di voti per l’uMkhonto weSizwe (Mk), un nuovo partito che prende il nome da quello che era il braccio armato dell’African national congress (Anc). “Mandela è stato un imbroglione. Ci ha svenduti”, dice Khoza, parlando del primo presidente del Sudafrica democratico.

Anche Chris Lebona, nato e cresciuto in quella strada di Soweto, la storica township vicino a Johannesburg, è un sostenitore dell’Mk. Secondo lui, fu Nelson Mandela a convincere l’Anc, all’epoca il principale movimento di liberazione, a sospendere la lotta armata nel 1990 prima di arrivare all’accordo che avrebbe messo fine al dominio della minoranza bianca. “L’Anc non era formata da un solo uomo e lui negoziò al di fuori delle strutture del movimento”, afferma Lebona, parlando dei colloqui segreti tra Mandela, ancora prigioniero, e l’allora presidente Frederik Willem de Klerk. “Siamo stati fregati”, dice, dando voce all’opinione diffusa secondo cui i termini dell’accordo erano sfavorevoli per la maggioranza nera. “Quello fu l’inizio di tutti i problemi, poi l’Anc ne ha pagato le conseguenze perdendo il sostegno popolare”.

Cos’è andato storto

A trent’anni dalla fine dell’apartheid e a pochi giorni dalle elezioni legislative in cui l’Anc potrebbe perdere la maggioranza assoluta per la prima volta dal 1994, il fatto che si metta in discussione l’eredità di Mandela evidenzia la profonda disillusione dei sudafricani.

In gran parte del mondo Mandela continua a essere una fonte d’ispirazione: con la sua disponibilità a perdonare gli oppressori bianchi, rese possibile una fine negoziata dell’apartheid. Anche in Sudafrica molti ritengono che, senza la sua capacità di compromesso, il paese sarebbe sprofondato nella violenza e non sarebbe diventato una democrazia. Ma i nati dopo la fine dell’apartheid si chiedono cosa sia andato storto: un giovane su due è disoccupato, la criminalità dilaga e persistono palesi disuguaglianze razziali. L’ottimismo dei primi anni si è prosciugato ed è stato sostituito dal disamore e dalla convinzione che la vecchia guardia dell’Anc avrebbe dovuto prendere misure più radicali. Mentre l’economia sudafricana entra nel secondo decennio di stagnazione – dal 2008 la ricchezza pro capite non cresce – e i sudafricani neri senza agganci politici vedono svanire qualsiasi opportunità di migliorare la loro vita, molte persone incolpano Mandela e gli altri leader della liberazione di aver permesso ai bianchi di mantenere le ricchezze e i privilegi accumulati sfruttando un sistema razzista, che condannava i neri alla povertà e all’ignoranza.

Secondo i sondaggi, dopo le elezioni del 29 maggio l’Anc continuerà a essere il primo partito ma potrebbe scendere sotto il 50 per cento delle preferenze su base nazionale. Così si aprirebbe una nuova fase, potenzialmente instabile, di governi di coalizione. Il partito rischia di perdere il controllo di alcune province importanti, tra cui il Gauteng, cuore industriale del paese e sede di città importanti come Johannesburg e Tshwane (ex Pretoria).

L’erosione della reputazione di Mandela è accompagnata da un altro fenomeno: la rivalutazione della figura di Winnie Madikizela-Mandela, fervente attivista antiapartheid e moglie di Nelson nei 27 anni che lui rimase in carcere. “Winnie rappresenta un modo alternativo di interpretare la condizione in cui ci troviamo”, sostiene Busisiwe Seabe, un’attivista per la democrazia nata nel 1994. “La libertà politica non ha senso senza quella economica”.

“Si sta diffondendo la sensazione di essere stati imbrogliati, truffati, e che la liberazione promessa non arriverà mai”, dice Joel Modiri, preside della facoltà di giurisprudenza dell’università di Pretoria, facendo notare che la maggioranza dei neri continua a essere intrappolata nella povertà delle township, con livelli di istruzione molto bassi e scarse prospettive di lavoro. La geografia della segregazione razziale creata dell’apartheid non è stata cancellata. Servizi come l’elettricità e l’acqua sono al collasso per la cronica mancanza di investimenti, la corruzione e il vandalismo. Tutto questo “alimenta lo scontento verso l’Anc, la comunità bianca e gli stranieri”, prosegue Modiri. “Nella transizione si privilegiò la riconciliazione rispetto alla giustizia e alcune questioni importanti furono insabbiate. Ora stanno riemergendo con violenza”. La spiegazione abituale della situazione in cui versa oggi il Sudafrica è questa: l’Anc gestì in maniera abbastanza soddisfacente la transizione economica e politica nei primi quindici anni, incoraggiando gli investimenti stranieri e generando una crescita annua che raggiunse il 5 per cento. Ma quando Jacob Zuma diventò presidente nel 2009 il partito sprofondò nella corruzione e nel nepotismo, le istituzioni subirono una profonda erosione e la crescita si fermò. Un tecnocrate con una lunga esperienza alle spalle, da sempre sostenitore dell’Anc, paragona gli ultimi trent’anni a una partita di calcio, con un primo tempo eccellente e un secondo pieno di autogol.

Molti sudafricani però respingono questa versione della storia. Secondo Sisonke Msimang, analista politica e autrice del libro _The resurrection of Winnie Mandela _(Jonathan Ball 2018), l’Anc fu fin dall’inizio troppo timido nel perseguire un programma economico di sinistra. Il governo Mandela sposò l’ortodossia neoliberista dell’epoca, autoimponendosi una specie di aggiustamento strutturale. “Volevamo fare meglio della Banca mondiale”, afferma Msimang, secondo cui l’Anc voleva mostrare che i neri sarebbero stati in grado di governare responsabilmente.

Oggi due partiti sperano di approfittare della situazione proponendo misure più drastiche: l’Mk, guidato dall’ex presidente Zuma; e gli Economic freedom fighters (Eff), a cui fa capo Julius Malema, ex leader della sezione giovanile dell’Anc. Insieme potrebbero raggiungere il 20 per cento. Entrambi promuovono un programma di “trasformazione economica radicale”, con una sfida sistematica al “monopolio del capitale bianco” attraverso le espropriazioni di terre e un controllo più stretto sui vertici dell’economia.

Non sono gli unici ad aver perso fiducia nell’idea della “nazione arcobaleno”. Si registra anche un aumento del populismo e della xenofobia (in particolare verso gli immigrati dai paesi confinanti), uno schiaffo ai princìpi della tolleranza e del panafricanismo promossi da Mandela. La Patriotic alliance si rivolge alle comunità _coloured _(termine che ai tempi dell’apart­heid indicava le persone che non erano bianche né nere), che a volte si sentono marginalizzate dalla maggioranza nera. Il leader, Gayton McKenzie, è un ex rapinatore di banche che cavalca la moda della politica identitaria. Promette di dimezzare la disoccupazione giovanile “deportando in massa” gli immigrati irregolari. Invece il Freedom front plus, un partito di destra afrikaner (i discendenti dei coloni olandesi), sostiene l’indipendenza della provincia del Capo Occidentale, dove si trova Città del Capo.

L’Anc, che sotto Mandela era simbolo di un nuovo Sudafrica senza divisioni razziali, è diventato un partito formato quasi esclusivamente da neri, dove solo pochi vecchi militanti rappresentano le comunità indiana, coloured o bianca.

Icona

La messa in discussione dell’eredità di Mandela è quindi spesso accompagnata da un rinnovato apprezzamento per la figura di Winnie, che sotto l’apartheid fu rinchiusa in isolamento, torturata e confinata in una località sperduta. “Più di tutti subì gli attacchi del regime”, afferma Jonny Steinberg, autore di (Jonathan Ball 2023), un libro che riesamina la loro storia. “La versione di Winnie è che, negoziando, Nelson compromise il futuro del suo popolo perché di fatto non era più un nero, era stato trasformato in qualcun altro in carcere. Lei, invece, incarnava le sofferenze della sua gente”.

In occidente l’immagine di Winnie Madikizela-Mandela è stata gravemente danneggiata dal suo sostegno all’uso della violenza, compresa la pratica detta necklacing, con cui i sospetti informatori erano uccisi mettendogli un copertone in fiamme intorno al collo. In Sudafrica, però, la sua morte nel 2018 ha portato a rivalutarne la reputazione. Malema, il leader delle Eff, l’ha adottata come icona. Nel rifiuto di Winnie di scendere a compromessi con gli oppressori, molti giovani sudafricani vedono una metafora della strada che il paese avrebbe potuto prendere.

Secondo l’attivista Saebe, Winnie non condivideva il programma economico del marito, perché manteneva in piedi molte strutture e istituzioni dell’apartheid: “Il governo dell’Anc ha deluso i sudafricani neri, negoziando un accordo che non avrebbe portato benefici concreti. Viviamo ancora nella miseria, in povertà, ammassati come sardine nelle township e subiamo ancora il razzismo istituzionale”.

Se è vero che Winnie Madikizela-Mandela rappresenta l’aspirazione a un’alternativa economica più radicale, non è chiaro come avrebbe dovuto tradursi in pratica, nota Steinberg. Lei rappresenta “un distillato di populismo e di sentimenti forti, che non sono la giusta base per programma politico”.

Winnie Mandela nel 1985 (David Turnley, Corbis/Getty)

Anche nel paesino di Qunu, nella provincia del Capo Orientale, dove Nelson Mandela visse da bambino, è forte il desiderio di incolparlo per i suoi presunti errori. Londiwe Khubeka, 30 anni, racconta che le è stato insegnato a “divinizzare” Mandela. Crescendo, però, ha cambiato idea. Winnie, sostiene Khubeka, era “intrepida, ostinata e impenitente”. Se fosse stata un uomo non avrebbe ricevuto tutte quelle critiche. La denigrazione a cui è stata sottoposta “ha tolto alle ragazze più giovani un modello”.

I sudafricani più anziani, che hanno vissuto la lotta contro l’apartheid, non hanno dubbi: i giovani si sbagliano. “Quando dicono che Mandela ha fatto compromessi, parlano di cose senza senso”, dice Mavuso Msimang, 82 anni, veterano dell’uMkhonto weSizwe. Mandela ottenne il diritto al suffragio universale e perfino quello a espropriare le terre senza risarcimenti. “Le cose andarono male già all’inizio, quando nell’Anc s’insinuò la corruzione. Non fummo in grado di gestire il potere”, afferma Mavuso Msimang, che accusa leader come Zuma e Malema di aver ammantato di ideologia il loro semplice desiderio di saccheggiare le casse pubbliche. “Malema è un populista. Se mai dovesse arrivare al potere, sarebbe il caos”, aggiunge.

Tembeka Ngcukaitobi, avvocato e giurista, concorda: l’Anc ha sbagliato, non perché Mandela l’abbia portato su una cattiva strada, ma perché il partito ha abbandonato valori di fondo come l’onestà e l’antirazzismo. “In base alla strategia di Mandela, c’erano cose che non avremmo potuto ottenere subito, ma solo con il tempo”, afferma Ngcukaitobi. L’Anc non ha saputo approfittarne, soprattutto perché ha tollerato l’esistenza di un ampio sottoproletariato nero.

Moeletsi Mbeki, analista politico e fratello di Thabo Mbeki, successore di Mandela alla presidenza del paese, afferma che l’esistenza di questa classe di neri poveri ha, d’altra parte, contribuito alla longevità politica dell’Anc. Il sistema di sussidi, grazie al quale 27 milioni di sudafricani su una popolazione complessiva di 60 milioni riceve una qualche forma di aiuto statale, garantisce lealtà al partito, soprattutto nelle zone rurali.

Nokwanele Balizulu, leader tradizionale di Qunu, era la vicina di Mandela quando lui si ritirò a vivere nel villaggio dopo la fine del suo mandato. La piccola imprenditrice, oggi cinquantenne, gestisce un minimarket. Indossa una gonna a fiori abbinata a una camicia dell’Anc.

Secondo lei, nel pantheon dell’Anc c’è spazio per entrambi i Mandela. Nelson aveva aiutato il marito di Balizulu, anche lui prigioniero politico a Robben Island; mentre Winnie fu una roccia in quegli anni difficili. “Veniva spesso a trovarmi e mi diceva che dovevo essere coraggiosa perché mio marito era in carcere per una giusta causa. Lei ha lottato per le tante donne di campagna che non avevano voce”.

Balizulu respinge l’idea secondo cui i veterani dell’Anc hanno gestito male la transizione: “Durante i primi cinque anni della presidenza di Mandela le cose andavano benissimo. L’avrei voluto per un altro mandato”. Gli errori sono arrivati dopo. “Molte cose non sono andate bene. Molti progetti sono andati a finire male”, dice. Nonostante una litania di problemi, dalla mancanza di acqua potabile alla criminalità giovanile, lei continuerà comunque a votare per l’Anc. Secondo Steinberg, malgrado la frustrazione dei giovani e gli evidenti fallimenti dell’Anc, il partito non va sottovalutato. Comunque andrà il voto, “è ancora radicato il sentimento che Mandela sia stato prezioso e che per molti versi l’Anc abbia cambiato il mondo”. ◆ gim

© The Financial Times Limited 2024. All Rights Reserved. Il Financial Times non è responsabile dell’accuratezza e della qualità di questa traduzione.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1564 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati