Editoriali

La rabbia delle donne iraniane

Le proteste in corso in Iran sembrano diverse da quelle che hanno scosso il paese dal 2017. Cominciate a Teheran la sera del 16 settembre dopo la morte di Mahsa Amini, una donna di 22 anni originaria del Kurdistan iraniano, non sono state scatenate dalle difficoltà economiche. Amini sarebbe morta dopo essere stata picchiata dagli agenti della polizia religiosa, che l’avevano arrestata per strada perché non indossava correttamente l’hijab, il velo che copre la testa. La sua storia è il simbolo delle pressioni che il regime religioso esercita sulle giovani generazioni e della sua impunità.

I primi assembramenti vicino all’ospedale dove Amini è morta avevano lo scopo di rendere omaggio a una giovane donna come tante, uccisa anche se aveva coperto la testa con il consueto foulard nero e il corpo con il lungo mantello che molte odiano dover indossare nel caldo autunno di Teheran. Come ha sottolineato uno studioso iraniano all’inizio di questa settimana, la repubblica islamica considera il corpo delle donne un campo di battaglia.

In un paese sommerso dalla corruzione, dalla povertà e dalla disoccupazione, l’unica cosa che è rimasta d’islamico è il codice d’abbigliamento arbitrario introdotto da religiosi poco istruiti che non hanno visto nessun altro paese, non sanno parlare l’arabo, la lingua del Corano, non hanno mai letto un libro laico e possono imporre il loro potere solo con la forza. Mentre la polizia continuava a picchiare i manifestanti e i funzionari statali continuavano a dire bugie per spiegare la morte di Amini, le proteste si sono diffuse nel resto di Teheran e poi in città e piccoli centri di varie province, in particolare in quella del Kurdistan.

A manifestare sono soprattutto le donne, anche se ormai le contestazioni non riguardano tanto l’hijab quanto una dittatura che da 43 anni impone lo stile di vita del clero ai cittadini iraniani. Molti dei manifestanti sono nati dopo il 2000. Sono la generazione dei social network, che difficilmente può essere compresa da governanti religiosi medievali e da forze di polizia reazionarie. Quella iraniana è una dittatura anacronistica.

Mentre milioni di giovani iraniani della classe media con un alto livello d’istruzione sono determinati ad andare avanti e a ignorare le barriere imposte dal regime, la guida suprema probabilmente convincerà le sue milizie poco istruite, fanatiche e obbedienti a oscurare internet – la “madre di tutti i mali” – e a usare ancora di più le armi per reprimere i “rivoltosi e gli agenti delle potenze straniere”, come il regime e gli integralisti iraniani etichettano chi lotta per le libertà civili. È uno scenario che conosciamo tutti, dalle proteste del 2009 a oggi. La forza repressiva del regime contro la determinazione delle giovani generazioni. Il futuro ci dirà chi sarà il vincitore. ◆ ff

Una scelta difficile in Ucraina

Il calcolo che ha portato Vladimir Putin ad annunciare i referendum nelle regioni occupate dell’Ucraina è evidente: il presidente russo vuole annettere questi territori nella speranza che tracciare un nuovo confine basti a fermare la vittoriosa controffensiva ucraina. Il suo predecessore Dmitrij Medvedev ha lanciato un messaggio chiaro a Kiev e all’occidente, minacciando il ricorso a “tutti i mezzi di autodifesa”, comprese le armi nucleari.

La fretta con cui si stanno organizzando questi referendum dimostra il panico del Cremlino. A quanto pare la leadership russa non crede più di poter fermare gli ucraini nel futuro prossimo.

Sul risultato di queste consultazioni non bisogna farsi illusioni. La vera domanda sarà come reagiranno l’Ucraina e i suoi alleati. Finora i paesi occidentali, e specialmente gli Stati Uniti, hanno fatto tutto il possibile per evitare che gli ucraini attaccassero obiettivi in territorio russo. È stato uno dei criteri principali della fornitura di armi a Kiev.

Spostando le frontiere, Putin mette l’occidente di fronte a una scelta difficile. Continuare con la politica attuale vorrebbe dire accettare le conquiste territoriali russe, anche senza riconoscerle formalmente. Un cambio di strategia invece potrebbe portare il conflitto a un punto che tutti avevano sperato di evitare. ◆ gac

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1479 - 23 settembre 2022
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