Editoriali

Aprire le porte ai migranti

La morte di almeno 67 migranti in un naufragio avvenuto davanti alle coste della Calabria, il 26 febbraio 2023, è stata commentata in modo prevedibile dai politici europei. Le frasi di cordoglio sono state accompagnate dalla promessa che l’Europa raddoppierà i suoi sforzi per portare gli scafisti davanti alla giustizia.

Il 24 febbraio quindici paesi europei avevano reso nota una dichiarazione in cui chiedevano un sostegno finanziario per “rafforzare ogni genere d’infrastruttura protettiva di confine, comprese le barriere fisiche”, insieme a nuovi strumenti per rendere più facile l’espulsione dei migranti. Ma l’insistenza sui provvedimenti destinati unicamente a smantellare le reti dei trafficanti ignora il contesto dell’emigrazione di massa e non contribuisce in nessun modo ad arginare il flusso di persone disperate che scappano dalle guerre e dall’oppressione. Al contrario, questo approccio sembra solo un tentativo di sottrarsi all’obbligo morale (oltre che giuridico, in base ai trattati internazionali) di soccorrere e proteggere le persone in pericolo.

L’Europa si limita a scaricare il problema sui suoi immediati vicini, che spesso sono ancora meno disponibili a gestire i nuovi arrivati o non sono nelle condizioni di farlo. Il barcone naufragato nelle acque della Calabria proveniva da Smirne, in Turchia, un paese che ospita circa quattro milioni di profughi. Ankara ha rimandato in Afghanistan più di 40mila persone nei primi otto mesi dopo il ritorno al potere dei taliban. Quest’anno sono già 240 i migranti morti attraversando il Mediterraneo centrale. I dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni dicono che 20.430 persone sono morte dal 2014 su questa rotta, la più pericolosa al mondo secondo le Nazioni Unite.

Come ha fatto con gli ucraini che sono scappati dopo l’invasione russa, l’Europa deve rispondere a questa tragedia aprendo i suoi confini e creando percorsi legali e sicuri per permettere ai migranti di stabilirsi in tutti i 27 paesi dell’Unione. Secondo l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, nel 2023 più di due milioni di profughi avranno bisogno di accoglienza, un terzo in più rispetto al 2022. L’agenzia delle Nazioni Unite ha chiesto agli stati di prendere impegni pluriennali, con una flessibilità sufficiente a garantire l’accoglienza in base alle situazioni e alle necessità più urgenti nelle varie aree del mondo.◆ as

L’Amazzonia è ancora in pericolo

La foresta amazzonica ha una superficie di più di cinque milioni di chilometri quadrati. Una grandissima area selvaggia costantemente sotto osservazione: l’Istituto nazionale brasiliano per la ricerca spaziale (Inpe) usa i satelliti per monitorare dall’alto, praticamente in tempo reale, la porzione brasiliana dell’Amazzonia. Le registrazioni video sono strumenti importanti per la protezione della foresta pluviale. Il sistema segnala alle autorità le attività illegali di disboscamento e l’Inpe pubblica anche statistiche sulla deforestazione.

Negli ultimi anni il disboscamento è stato motivo di grande preoccupazione. Durante il governo del presidente Jair Bolsonaro la foresta è stata distrutta a ritmi che non si registravano da tempo, più di 45mila chilometri quadrati in quattro anni. Ma ora le cose stanno cambiando.

Luiz Inácio Lula da Silva, che ha preso il posto di Bolsonaro due mesi fa, ha promesso di difendere l’Amazzonia e di azzerare la deforestazione entro il 2030. Un obiettivo ambizioso.

A gennaio del 2023 è diminuita di almeno il 60 per cento rispetto all’anno precedente, un dato che ha generato grande ottimismo. Ma poco dopo sono arrivati i dati di febbraio, secondo cui, solo nelle prime due settimane del mese, sono andati persi 208 chilometri quadrati di foresta, un record degli ultimi anni. Le ragioni possono essere molte: le nuvole potrebbero aver inizialmente coperto la vista dei satelliti, alcuni contadini potrebbero aver aspettato che il governo si insediasse, o che la stagione diventasse più secca, prima di cominciare a tagliare gli alberi.

A prescindere da quali siano le cause di questa tendenza, la possibile conclusione è solo una: l’Amazzonia è tutt’altro che al sicuro. Al contrario, una lunga lotta attende la foresta pluviale e i suoi guardiani. ◆ nv

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1501 - 3 marzo 2023
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