Bologna? No papà, Polonia! Quando Arcangelo Pace, 42 anni, ha detto a suo padre che si sarebbe trasferito in Polonia, lui gli ha attaccato il telefono in faccia. Polonia? Chi è che si trasferisce in Polonia? Pace lavorava in banca a Milano, ma vedeva poche possibilità di carriera. Oggi è il dirigente della sede polacca di una grande banca svizzera.

“Mio padre aveva in mente l’immagine della vecchia Polonia: un paese di palazzoni grigi con pochi negozi”. Pace ride mentre racconta quest’aneddoto al caffè Prego, un punto d’incontro per gli italiani a Józefoslaw, una cittadina vicino a Varsavia con eleganti quartieri residenziali, centri commerciali e auto di lusso. “È venuto a trovarci cinque anni fa. Ora racconta a tutti che la Polonia è un paese molto sviluppato”. Pace ammette che se non avesse avuto una moglie polacca non si sarebbe mai trasferito. A Milano la moglie non trovava lavoro e lui non faceva carriera. “Arrivi a un punto in cui non puoi ottenere più alcuna promozione. E non perché tu non sia capace. In Italia clientelismo e nepotismo sono molto diffusi”. Così si è trasferito. “Sapevo che era un bel paese. Ma il potenziale della Polonia l’ho capito solo venendo a viverci”.

Dante in cucina

Oggi hanno entrambi un lavoro ben pagato, una casa di proprietà e una Mercedes. Ma qui Pace ha trovato anche una qualità della vita superiore. Spiega che l’equilibrio tra vita privata e lavoro è migliore, ci sono più opportunità lavorative per le donne, più possibilità di crescita professionale, ottime scuole e maggiore sicurezza. Indica delle bici accanto al parco giochi nuovo di zecca. “Visto? Non sono chiuse con il lucchetto”. Secondo lui Varsavia è più sicura e pulita di altre città europee.

Pace non è l’unico ad aver scoperto e apprezzato la Polonia. Settemila italiani si sono registrati per rimanerci più di tre mesi e 1.200 hanno un permesso di soggiorno permanente. Quello italiano è il gruppo più numeroso di immigrati dall’Unione europea dopo i tedeschi. Un altro indicatore è la pagina Face­book “Italiani in Polonia”, con quasi 30mila iscritti.

Alfredo Boscolo, 47 anni, è arrivato in Polonia venticinque anni fa con una borsa di studio. “L’avevo scelta perché nessuno ci voleva andare e non c’era molta concorrenza”, racconta in un ottimo polacco. “Sono rimasto perché qui ho avuto nuove occasioni”. A un certo punto è rientrato a Bologna per il dottorato. “Ma ho capito che in Italia non avevo prospettive, così sono ritornato qui”.

Ha trovato subito lavoro in un gruppo immobiliare che teneva in Polonia la sua contabilità internazionale. “Non sapevo niente di immobili o di contabilità, ma parlavo le lingue. Non era il lavoro dei miei sogni, ma pagavano bene”. E ha avuto abbastanza tempo libero per scrivere un libro sul cibo e la cultura italiani. Il libro è piaciuto a un conoscente proprietario di un ristorante che gli ha chiesto se voleva organizzare, insieme al coautore Leonardo Masi, una serata culturale di cucina. “Abbiamo cominciato così La cucina di Dante. Cucinavamo, leggevamo Dante e ci divertivamo. L’idea è piaciuta anche ai mezzi d’informazione ed è diventata popolare”, racconta Boscolo.

Un hobby cresciuto fino a diventare un ristorante in proprio: otto anni fa, nel cuore di Varsavia, ha aperto Culinaria Italiana. Boscolo punta a clienti con una buona capacità di spesa. E oggi ce ne sono abbastanza.

Boscolo è seduto al sole fuori del ristorante e in mezz’ora ha già salutato quattro persone. “Clienti fissi. Pagano una trentina di euro un paio di volte alla settimana per mangiare bene. Ce ne sono sempre di più disposti a spendere”. Secondo lui è cambiata anche l’atmosfera. “I polacchi ridono di più. È più facile stabilire un contatto. Sono più aperti”.

Tre anni fa ha assunto un connazionale come cuoco. “La Polonia cresce e l’Italia è ferma ormai da trent’anni. Se questa tendenza continua, tra dieci anni gli stipendi qui saranno più alti che in Italia”, spiega. Non ha mai nostalgia del suo bel paese? “Ma no! Il mio paese è questo, il posto dove sto bene”. E poi scherza: “Quando sarò vecchio, conto di riuscire a far venire un’infermiera dall’Italia” . ◆ vf

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Questo articolo è uscito sul numero 1579 di Internazionale, a pagina 35. Compra questo numero | Abbonati