I due ragazzi che sullo schermo arrancano tra le dune infinite del Sahara cercando di raggiungere l’Europa sono attori. E lo sono anche gli altri migranti torturati in una prigione libica sporca di sangue. Ma in una sera d’aprile, in un sobborgo di Dakar, capitale del Senegal, a un ragazzo del pubblico che guardava il film la storia è sembrata fin troppo reale. Anni fa i suoi due fratelli hanno fatto lo stesso viaggio. “Per questo hanno rifiutato di spedirmi i soldi per farmi partire”, ha detto Ahmadou Diallo, 18 anni, netturbino. “Hanno sperimentato sulla loro pelle quanto è pericoloso”.

I critici cinematografici occidentali hanno apprezzato Io capitano – che ha ricevuto la nomination agli Oscar 2024 come miglior film straniero – sottolineandone lo sguardo con i migranti africani diretti in Europa.

Ora il film è proiettato anche nei paesi africani, compreso il Senegal, dove la storia ha inizio. È da lì che i due protagonisti si imbarcano in un’odissea in cui si toccano con mano i sogni e le dure prove delle tante persone che sperano di cominciare una nuova vita al di là del Mediterraneo.

Maggioranza di giovani

Ad aprile la troupe del film e il regista Matteo Garrone hanno portato Io capitano in una decina di località del Senegal dove la migrazione è tutt’altro che fiction. L’hanno proiettato nei centri per ragazzi, nelle scuole, perfino in un campo da basket trasformato in cinema all’aperto a Guédiawaye, un sobborgo di Dakar, dove Diallo e centinaia di altre persone l’hanno guardato su un grande schermo, al tramonto. Io capitano racconta la storia di Seydou e Moussa, due cugini che dopo mesi di preparazione decidono di partire da Dakar dando fondo ai risparmi guadagnati lavorando duramente in un cantiere edile. Ma quello che comincia come un viaggio emozionante si trasforma rapidamente in una terribile spedizione: i ragazzi finiscono nelle mani di trafficanti spietati, poi sotto il controllo di rapinatori armati e di carcerieri crudeli, prima di raggiungere la parte più pericolosa del loro viaggio: la traversata del Mediterraneo.

Seydou, il personaggio principale, finisce al timone dell’imbarcazione in cui si trova con il cugino e altre centinaia di migranti che sperano di arrivare in Italia. Il film non ci fa vedere il loro approdo, ma quando un elicottero della guardia costiera italiana sorvola la nave, si ha la tentazione di credere che tutti saranno salvati e che una parte dei loro guai sia finita.

Strade sabbiose

Nel campo da pallacanestro, tanti hanno sussultato per l’orrore quando, sullo schermo, i banditi aprono il fuoco contro i migranti. Altri si sono coperti gli occhi durante le scene di tortura.

“Le persone sanno che rischiano la vita” quando cercano di emigrare in Europa, ha detto Garrone, “però senza aver mai visto di cosa si tratta davvero”.

Il Senegal ha 17 milioni di abitanti, in maggioranza giovani, ma la rapida crescita economica del paese non ha creato abbastanza posti di lavoro retribuiti dignitosamente. Migliaia di persone partono ogni anno con l’idea di attraversare il Sahara e l’oceano Atlantico, spesso finendo vittime di incidenti mortali. Sempre più frequentemente chi può permetterselo vola in America centrale, con la speranza di raggiungere da lì gli Stati Uniti.

Bassirou Diomaye Faye, presidente del Senegal, ha promesso di dare maggiore impulso all’economia finanziando le piccole imprese e intensificando i programmi di formazione nelle attività agricole, nella pesca e nelle professioni industriali. Le riserve di gas naturale e petrolio dovrebbero trasformare il piccolo paese costiero in una potenza africana degli idrocarburi.

Ma a Guédiawaye, dove le case di nuo­­va costruzione si trovano su strade sabbiose e accanto a rifugi fatiscenti pieni di mosche e senza acqua corrente, molti giovani dicono di non aspettarsi grandi cambiamenti. Diallo, il netturbino, vorrebbe raggiungere i fratelli a Parigi. Dal suo telefono ci ha mostrato dei video della scorsa estate in cui si vedono lui e decine di altri migranti nel mezzo dell’Atlantico. Era uno dei suoi due precedenti tentativi di raggiungere l’Europa, entrambi falliti.

Poco distante da lui, Barra Gassama, 18 anni, ha guardato Io capitano con gli occhi lucidi. Una decina di anni fa ricevette una telefonata a casa in cui uno sconosciuto lo informava che il fratello maggiore era morto nel tentativo di arrivare in Spagna. “Quella chiamata cambiò le nostre vite”, ha detto con un sussurro. “Mi ha tanto ricordato lui”, ha aggiunto fissando lo schermo.

Barra Gassama, 18 anni, ha guardato il film con gli occhi lucidi

Nonostante la morte del fratello, la madre l’ha incoraggiato a partire. Gassama, però, ha deciso di provare a farcela a casa, racconta, lavorando come panettiere e guadagnando fino a sei dollari al giorno, sei giorni alla settimana.

Nel film Seydou e Moussa lasciano Dakar senza dirlo alle famiglie. Alcuni dei ragazzi presenti alla proiezione hanno invece detto di parlare apertamente con i familiari dei loro progetti di emigrazione. Pape Alioune Ngom, un saldatore di diciotto anni, poche ore prima della proiezione ha spiegato che stava cercando di convincere i genitori a lasciarlo andare in Europa. Ha giurato che non sarebbe partito senza la loro benedizione. “Cosa c’è qui per noi?”, ha chiesto. “Tutti pensiamo ad andarcene”.

Come mostrano alcuni studi, spesso le persone che desiderano migrare ignorano gli avvertimenti sui pericoli connessi ai tentativi d’ingresso irregolare in altri paesi. Ma il film non va inteso come un mezzo per convincere le persone a non intraprendere il viaggio, ha detto il regista.

“Spero soprattutto di aiutare i giovani del Senegal a rendersi conto che, una volta lasciata la loro casa, entrano in un sistema da cui potrebbero non uscire mai del tutto”, ha spiegato. Per descrivere le pratiche dei trafficanti e dello sfruttamento, Garrone ha lavorato a stretto contatto con Mamadou Kouassi, un assistente sociale che oggi aiuta i migranti in Italia e che in passato ha cercato per tre anni e mezzo di raggiungere l’Europa dalla Costa d’Avorio.

Le esperienze di Kouassi hanno ispirato la maggior parte di quelle interpretate sullo schermo da Seydou e Moussa. Kouassi era alla proiezione e ha notato le risate degli spettatori quando i due giovani protagonisti cercano di nascondere i soldi nel corpo prima di iniziare il viaggio attraverso il Sahara. “Non hanno idea di come ci trattano in Europa e in Italia”, ha commentato.

Potete farcela qui

La prima scena drammatica del film arriva poco dopo, quando un migrante cade da uno dei pickup che sfrecciano nel deserto e il conducente continua a correre come se nulla fosse mentre gli altri passeggeri, atterriti, si aggrappano al veicolo per evitare di fare la stessa fine. In quella scena tra il pubblico è piombato il silenzio.

Seydou Sarr, 19 anni, e Moustapha Fall, 20 anni, gli attori che interpretano i due cugini del film, hanno partecipato a vari festival cinematografici in occidente, si sono presentati in abiti firmati alla cerimonia degli Oscar e hanno alloggiato in hotel di lusso in tutta Europa, muovendosi in un mondo molto lontano da quello che si sono lasciati alle spalle in Senegal pochi anni fa. Il loro viaggio è stato diverso: sono stati scritturati per il film a Dakar e poi si sono trasferiti in Italia, dove vive Garrone. Sarr, che ha vinto il premio Marcello Mastroianni come miglior attore emergente al Festival del cinema di Venezia, ha dichiarato di voler continuare a recitare. Per ora entrambi vivono a Roma con la madre di Garrone, che si è detto un po’ preoccupato. “Si alzano alle tre del pomeriggio, e mia madre cucina e fa tutto per loro”, ha raccontato. “Sono ragazzini”.

Dopo la proiezione Ndeye Khady Sy, l’attrice che interpreta la madre di Seydou, ha esortato il pubblico a rimanere in Senegal. “Potete farcela qui”, ha detto. Ma Ngom, il saldatore, era già andato via dal campo da pallacanestro. Come Diallo, che quest’estate, ha detto, tenterà di raggiungere l’Europa per la terza volta. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati