Il 31 agosto 2021, poco più di due settimane dopo la caduta del governo di Kabul, Joe Biden ha difeso con decisione il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan. “A chi vorrebbe un terzo decennio di guerra, chiedo: è nel nostro interesse nazionale? Sono convinto che la responsabilità fondamentale di un presidente sia proteggere gli Stati Uniti, non dalle minacce del 2001 ma da quelle del 2021 e del futuro”. Nonostante il caotico ritiro delle truppe, Biden ha tenuto testa a chi criticava la sua scelta.
Ma quella decisione coraggiosa, che ha messo fine alla più lunga guerra della storia statunitense, è un’eccezione nel primo anno di mandato di Biden. Per il resto la sua amministrazione ha portato avanti una politica estera confusa su temi cruciali. A volte ha lasciato intendere che la politica internazionale non fosse particolarmente importante, mentre in altre occasioni ha diffuso dichiarazioni baldanzose sul ritorno di Washington nel ruolo di leader mondiale. La consapevolezza dell’importanza della sfida con la Cina si è alternata al desiderio di mantenere una presenza in tutte le regioni del mondo. L’idea secondo cui gli Stati Uniti devono adattarsi a un contesto strategico in continua evoluzione ha lasciato spesso il campo alla nostalgia per lo status quo che c’era prima di Donald Trump.
Biden è stato senatore e vicepresidente. A parte George H.W. Bush, è il presidente con più esperienza geopolitica nella storia recente degli Stati Uniti. Si è circondato di esperti autorevoli e, cosa più importante, si è rifiutato di condurre la politica estera su Twitter. Proprio per questo stupisce il fatto che finora abbia ottenuto così pochi successi. Uno è sicuramente la decisione di rinnovare il New start, un importante trattato per il controllo degli armamenti siglato con la Russia dopo la fine della guerra fredda. Biden e Vladimir Putin si sono accordati per un’estensione di cinque anni e hanno confermato il meccanismo che limita gli armamenti e prevede ispezioni reciproche. Un buon risultato sono anche i progressi lenti ma costanti per smantellare la guerra commerciale con l’Europa scatenata da Trump. Inoltre, nonostante i conservatori abbiano criticato Biden per aver aperto il dialogo con Mosca sul controllo degli armamenti e del ciberspazio, non c’è dubbio che sia intelligente tenere aperto un canale di comunicazione con l’altra superpotenza nucleare su temi così importanti. Anche se la Russia dovesse decidere di invadere l’Ucraina, gli Stati Uniti otterrebbero comunque un beneficio dalla cooperazione sul controllo delle armi, come succedeva durante la guerra fredda.
Gli esiti di quasi tutte le altre iniziative dell’amministrazione sono stati più discutibili. Prendiamo il ritiro dall’Afghanistan: Biden ha fatto la cosa giusta, ma ha gestito l’evacuazione in modo caotico e approssimativo, e questo ha alimentato sui mezzi d’informazione e tra gli esperti di politica estera la sensazione che la Casa Bianca stesse sbagliando. Poi c’è stato l’accordo con l’Australia e il Regno Unito (il patto di sicurezza Aukus), in cui Washington ha facilitato la vendita di sottomarini britannici a propulsione nucleare a Canberra. Il presidente voleva dimostrare il suo impegno nel Pacifico per tenere testa alla Cina, ma il contenuto dell’accordo è stato eclissato dal conflitto diplomatico con la Francia, che ha perso una commessa da 66 miliardi di dollari per la fornitura di sottomarini all’Australia. Altri provvedimenti che l’amministrazione Biden ha cercato di presentare come grandi successi sono stati più che altro retorici: il vertice sul clima di Glasgow (Cop26) non ha dato risposte sui problemi più urgenti, mentre la promessa di Washington di rifornire di vaccini il resto del mondo nella battaglia contro il covid-19 ha dato risultati insufficienti e tardivi.
Anni sprecati
È chiaro che non tutti i problemi geopolitici degli Stati Uniti sono colpa di Biden. Il presidente ha ereditato un governo profondamente danneggiato dall’assalto al congresso del 6 gennaio 2021 e dalle conseguenze socioeconomiche della pandemia. È ragionevole, nel contesto dello scontro politico interno, che l’amministrazione abbia cercato di collegare le questioni internazionali a quelle nazionali “attraverso una politica estera per la classe media”. Oggi la potenza militare degli Stati Uniti è in declino, mentre Cina, Russia e altri paesi affermano la loro influenza in modo sempre più audace. A Biden è toccato il compito ingrato di traghettare il paese in una nuova era della politica globale. La disastrosa eredità geopolitica lasciata da Donald Trump ha messo in una posizione di debolezza Biden e la sua squadra. A causa di scelte, come il ritiro dall’accordo sul nucleare iraniano o la guerra commerciale con la Cina, oggi il presidente non ha molte opzioni. Trump ha sprecato quattro anni in inutili campagne di “massima pressione” per spingere l’Iran e la Corea del Nord a interrompere i loro programmi nucleari. E l’imprevedibilità della sua politica estera rende poco credibile qualsiasi garanzia offerta da Biden sul rispetto degli attuali accordi internazionali da parte dei suoi successori.
Tuttavia, l’eredità di Trump è solo uno dei motivi per cui Biden non ha ottenuto i successi sperati. La squadra dell’attuale presidente ha portato avanti diverse iniziative autolesioniste, a cominciare dal “vertice per la democrazia” organizzato nonostante le obiezioni di alcuni alleati. Le inevitabili accuse di ipocrisia e il risentimento dei paesi esclusi dall’evento non hanno certo rafforzato la reputazione degli Stati Uniti.
Su altri temi importanti la Casa Bianca ha dato la sensazione di essere incerta. Il presidente ha fatto capire di voler ridurre l’impegno statunitense in Medio Oriente, ma nei fatti ha trasmesso un messaggio diverso. Non ha ridotto il numero di soldati nella regione, mentre la presunta “fine” della missione statunitense in Iraq è stata poco più di un esercizio verbale: i circa 2.500 soldati di stanza nel paese, infatti, resteranno con compiti di “supporto”. In Siria, dove la missione resta nebulosa, mille soldati statunitensi sono ancora impegnati in una zona di conflitto attivo.
I funzionari dell’amministrazione si sono mostrati poco risoluti anche quando cercavano di correggere gli errori commessi da Trump. In campagna elettorale Biden aveva promesso di riportare gli Stati Uniti nell’accordo sul nucleare iraniano, ma una volta alla Casa Bianca ha discusso per mesi con i suoi collaboratori per decidere se ripristinare il vecchio accordo o farne uno nuovo. Questo ritardo, che aveva anche l’obiettivo di placare i falchi al congresso, ha impedito di aprire un dialogo prima delle elezioni iraniane, vinte dai sostenitori della linea dura. Il risultato è che qualsiasi accordo raggiunto ora sarebbe probabilmente molto peggiore di quello che si poteva concludere prima, con il rischio concreto che non si arrivi a nessun accordo. L’amministrazione ha già cominciato a preparare una campagna di pubbliche relazioni per scaricare il fallimento sull’amministrazione Trump.
◆ Il 3 febbraio 2022 le forze speciali statunitensi hanno condotto un attacco mirato nel nordovest della Siria, uccidendo Abu Ibrahim al Hashimi al Qurayshi, leader del gruppo Stato islamico. Il presidente Joe Biden ha commentato l’operazione dicendo: “È un messaggio forte ai terroristi in tutto il mondo. Vi daremo la caccia e vi troveremo”. Secondo fonti locali, nell’attacco sarebbero morti anche tredici civili. Negli ultimi mesi Biden ha ricevuto molte critiche per aver ordinato operazioni in cui ci sono state vittime civili. Nell’agosto 2021 gli Stati Uniti hanno colpito l’obiettivo sbagliato in Afghanistan, uccidendo dieci civili, tra cui sette bambini. Il Pentagono ha ammesso che l’attacco è stato condotto sulla base di informazioni poco affidabili, aggiungendo però di non aver violato nessuna legge. Politico
Vantaggio da sfruttare
Se la Casa Bianca sta sulla difensiva è soprattutto perché teme gli attacchi dei repubblicani e dei gruppi di pressione. Questa paura sembra aver condizionato anche la politica per contrastare la Cina. Gli esperti di questioni asiatiche sostengono da tempo che in una regione in cui l’economia e il commercio rappresentano una priorità per molti stati, le mosse economiche degli Stati Uniti sono importanti quanto quelle per la sicurezza. È per questo che Obama aveva messo la Trans-pacific partnership (Tpp) al centro della sua politica nella regione. La Tpp è caduta vittima dei gruppi di pressione sia a destra sia a sinistra, convinti che quel trattato avrebbe fatto perdere posti di lavoro. Oggi gli accordi commerciali sono poco graditi all’elettorato statunitense.
La squadra di Biden dovrà definire la sua posizione anche sull’autonomia strategica dell’Europa. Washington ha sposato l’iniziativa dell’Unione europea per la difesa (Cooperazione strutturata permanente, Pesco) e ha invitato l’Europa a diventare “più solida sul piano militare”. Allo stesso tempo, però, la reazione degli Stati Uniti alla crisi ucraina è stata quella di sostituirsi a Francia e Germania nei negoziati con la Russia e promettere un maggiore sostegno militare ai paesi dell’Europa orientale, riproponendo in sostanza il primato dell’“ombrello di sicurezza” statunitense.
Inoltre Washington dovrà decidere cosa fare del suo arsenale nucleare: Biden farebbe bene a mantenere la promessa di ridurre “la dipendenza e la spesa eccessiva per le armi nucleari”, ma dovrà insistere molto per convincere il Pentagono. Al momento non sembra disposto a seguire questa strada.
La buona notizia per Washington è che prendere decisioni simili potrebbe essere politicamente meno dannoso di quanto si possa credere. La polarizzazione della politica statunitense ha molte conseguenze negative, ma ha anche il vantaggio di concedere più libertà d’azione al governo. Dopotutto, visto che Biden sarà criticato in ogni caso (per esempio sul nucleare iraniano), tanto vale scegliere le opzioni che possono portare i risultati migliori, senza preoccuparsi troppo delle reazioni.
Come ha dichiarato la Casa Bianca a marzo del 2021 nelle sue linee guida per la politica estera: “In questo momento è importante spingersi in avanti e non arretrare, intervenendo con coraggio sulla scena mondiale per garantire la sicurezza, la prosperità e la libertà degli statunitensi”. Per condurre una politica estera più efficace Biden dovrà rispettare queste indicazioni. ◆ as
Emma Ashford è ricercatrice al centro studi per la sicurezza dell’università di Georgetown e senior fellow al centro studi Atlantic Council.
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Questo articolo è uscito sul numero 1447 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati