Nella regione di Cherson la situazione militare comincia a farsi più chiara. Il fiume Dnepr separa nettamente i due schieramenti nemici. Il timore che la ritirata russa fosse una trappola per attirare le truppe ucraine in un sanguinoso combattimento casa per casa non si è concretizzato. Kiev ha ripreso il controllo di tutti i 4.500 chilometri quadrati occupati dalla Russia sulla riva destra del Dnepr.
L’Ucraina ha ottenuto una vittoria importantissima, soprattutto perché non ci sono state vittime civili. A partire da agosto l’esercito ucraino ha usato i lanciarazzi Himars e i pezzi d’artiglieria forniti dai paesi Nato per colpire le linee di rifornimento degli invasori, costringendoli ad arretrare. Il successo della controffensiva non era affatto assicurato, vista la presenza di un ostacolo naturale come il fiume Inhuleč e il terreno stepposo e senza alberi, che rendeva difficili le operazioni d’infiltrazione.
Sembra che le forze ucraine non avessero né la superiorità numerica necessaria per l’offensiva né un numero adeguato di blindati per proteggere le truppe. La vittoria di Cherson è dunque il prodotto degli aiuti militari e dell’intelligence fornita dagli occidentali, che ha permesso alle forze di Kiev, il cui arsenale è agli sgoccioli, di colpire l’invasore rapidamente e con precisione fino a 70 chilometri al di là della linea del fronte; ma anche, e soprattutto, del coraggio e della determinazione dei soldati ucraini a liberare il loro territorio.
Sul fronte opposto, la Russia sembra almeno essere riuscita a portare a termine con successo la ritirata: non risulta che grandi gruppi di soldati russi siano stati fatti prigionieri. Tutto lascia pensare che l’evacuazione sia stata pianificata con molto anticipo e sia cominciata a metà ottobre, come dimostrano le immagini satellitari pubblicate dal sito d’investigazione ucraino Skhemi. Certamente lo stato maggiore ucraino era stato avvertito. Non potendo spostare gli equipaggiamenti pesanti, i russi sono stati costretti a distruggerne una parte, mentre il resto si è aggiunto ai 2.500 “trofei” che l’esercito ucraino sta già usando contro i precedenti proprietari.
La fortezza assediata
La ritirata russa presenta diverse sfide per l’Ucraina. Arroccato dietro la grande barriera naturale del Dnepr, l’esercito di Mosca vede la linea del fronte ridursi improvvisamente di 300 chilometri. Un’operazione anfibia per attaccare frontalmente la riva sinistra del fiume sarebbe enormemente rischiosa per Kiev.
L’arrivo delle nuove forze messe insieme con la mobilitazione dei riservisti permetterà a Mosca di rilanciare la sua offensiva contro Bachmut, nell’est dell’Ucraina, e di intensificare la sua presenza nei 500 chilometri di fronte che restano. Questo complicherà la controffensiva ucraina nelle regioni di Luhansk e di Zaporižžia. Ma Kiev non vuole che il fronte si cristallizzi in inverno e permetta alla Russia di ricostituire le sue forze in vista di una ripresa delle ostilità nel 2023.
L’artiglieria ucraina ha già cominciato a “lavorare” la riva sinistra del Dnepr, come dimostrano le violente esplosioni osservate nei giorni scorsi a Chaplynka, 45 chilometri a sud del fiume. La scomparsa della zona tampone sulla riva destra significa che diverse infrastrutture cruciali per la Crimea, annessa dalla Russia nel 2014, sono ora esposte ai bombardamenti ucraini. Il canale che parte da Nova Kachovka e rifornisce di acqua dolce la Crimea è ormai nel raggio dell’artiglieria ucraina. La linea ferroviaria Donetsk-Melitopol-Džankoj, principale via di rifornimento per le truppe in Crimea, rientra nel raggio d’azione dei missili Himars, che potrebbero compromettere ulteriormente la logistica delle forze di occupazione. A conferma che il vento sta cambiando, le immagini satellitari mostrano che da qualche giorno i russi stanno scavando trincee nel nord della Crimea.
Da testa di ponte che minacciava tutto il sud dell’Ucraina fino a Odessa, la Crimea sta diventando una fortezza assediata. Anche la situazione in mare non è più rassicurante per Mosca. L’Ucraina ha annunciato che sta creando una flotta di droni marini kamikaze, come quelli che il 29 ottobre hanno attaccato la base navale russa a Sebastopoli.
A nord di Cherson, in territorio ucraino, la situazione è più tranquilla. In due grandi città che pochi giorni fa erano ancora vicine al fronte, Mykolaiv e Kryvyj Rih, la minaccia dell’artiglieria russa si allontana. Come altri centri urbani nelle retrovie, le due città restano comunque nel raggio d’azione dei droni iraniani e dei missili russi, ma il volume di questi attacchi è molto meno intenso. Il governatore di Mykolaiv, Vitali Kim, ha esortato le aziende del settore edile ad accorrere nella regione per cominciare la ricostruzione. Secondo Kim la riapertura dei porti sul mar Nero è imminente, soprattutto se la liberazione del sud del paese proseguirà.
Nessuna fretta
Forte della vittoria del suo esercito, il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj ha pronunciato la parola “negoziato”, che finora era stata tabù. Ma a condizioni precise. “Siamo pronti a parlare con la Russia ma solo con una Russia che sia davvero aperta alla pace”, ha dichiarato. A ottobre il capo di stato aveva escluso formalmente qualsiasi possibilità di trattativa con Vladimir Putin.
Kiev fa capire di non avere fretta. I negoziati con Mosca “potrebbero riprendere nel secondo semestre del 2023”, ha precisato David Arakhamia, a capo del gruppo parlamentare che sostiene Zelenskyj. In passato Arakhamia aveva guidato la delegazione ucraina nei negoziati con la Russia. Per l’Ucraina la ripresa del processo diplomatico è vincolata ad alcuni requisiti: “Ripristino dell’integrità territoriale, compensazione per tutte le perdite subite, processi contro i criminali di guerra e garanzie effettive che tutto questo non si ripeterà più”, ha fatto sapere Arakhamia. Quest’inverno continueranno a parlare le armi e il sangue scorrerà ancora. ◆as
◆ L’11 novembre 2022, due giorni dopo che il comando russo aveva ordinato il ritiro di tutte le truppe dalla sponda occidentale del fiume Dnepr, l’esercito ucraino ha annunciato di aver ripreso il controllo di Cherson senza incontrare resistenza. Prima di abbandonare la città i russi hanno distrutto tutte le infrastrutture essenziali e piazzato mine ovunque.
◆ Il 15 novembre la Russia ha lanciato una nuova ondata di bombardamenti contro la rete elettrica ucraina. Durante l’attacco un missile è caduto in territorio polacco a pochi chilometri dal confine con l’Ucraina, uccidendo due persone. La notizia ha fatto temere un coinvolgimento diretto della Nato nel conflitto, ma la tensione è rientrata poche ore dopo, quando il presidente statunitense Joe Biden ha affermato che era improbabile che il missile provenisse dalla Russia. Secondo la Nato e il governo polacco si tratterebbe di un missile lanciato dai sistemi di difesa aerea ucraini che ha mancato il bersaglio.
◆ Il 16 novembre il vertice del G20 a Bali si è chiuso con la pubblicazione di una dichiarazione congiunta secondo cui “la maggior parte dei paesi membri condanna l’aggressione della Federazione russa nei confronti dell’Ucraina e chiede il ritiro completo e incondizionato delle sue forze dal territorio ucraino”. Il documento ammette tuttavia che nel gruppo, di cui fanno parte le principali economie mondiali, esistono “posizioni differenti” rispetto al conflitto. Bbc
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Questo articolo è uscito sul numero 1487 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati